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EGITTO. ALLA FINE, COME SEMPRE, DECIDE L'ESERCITO

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da      http://www.senzasoste.it/internazionale/egitto-come-sempre-alla-fine-decide-l-esercito


I Fratelli Musulmani defenestrati dopo appena un anno di governo, ma... “non è un colpo di Stato”. Nonostante l'ampiezza e la radicalità delle proteste di piazza il movimento di opposizione non sembra in grado di costruire un'alternativa.
egitto_scontri_poliziaNel luglio del 1952 in Egitto gli “Ufficiali liberi” guidati da Nasser detronizzarono re Faruk. La nuova Repubblica egiziana si caratterizzò per una sorta di “socialismo panarabo”, e Nasser fu uno dei protagonisti del movimento dei Paesi non allineati.
L'esercito egiziano divenne così protagonista nella vita del Paese, in nome della lotta alla corruzione, dell'indipendenza nazionale e della laicità.
Dopo la morte di Nasser, nel 1970, l'Egitto si riavvicinò alle potenze occidentali e ne divenne uno degli alleati più affidabili. Sadat prima e Mubarak poi seguirono i dettami del Fondo Monetario Internazionale attuando una politica tipicamente neoliberista.
L'esercito lasciò da parte i vecchi ideali, trasformandosi in una forza repressiva e in una potenza economica che oggi controlla il 40% dell'economia del Paese (settore immobiliare, turismo, grandi opere, agricoltura, allevamento, produzione di armi, elettrodomestici, abbigliamento...) Tutto questo senza restrizioni e imposte.
Destituendo il presidente Mohamed Morsi l'esercito egiziano non ha certamente agito per preservare la democrazia ma per frenare il crescente caos politico ed economico che minaccia i suoi privilegi.
Con i Fratelli Musulmani i rapporti non erano mai stati idilliaci: fin dagli anni '50 si erano opposti a Nasser ed erano stati duramente repressi. Ma dopo la “primavera” del 2011 l'esercito non aveva altra scelta che permettere libere elezioni, e l'unica forza che poteva vincerle, grazie al suo radicamento territoriale (e anche grazie ai brogli) erano proprio i Fratelli Musulmani, ben visti anche in Occidente perché si pensava che potessero garantire stabilità (sul modello dell'AKP turco) e frenare le frange islamiste più estreme. Un anno fa sembrava che la loro ascesa in tutto il Medio Oriente e il Nordafrica fosse inarrestabile. Ma Morsi è caduto, la Turchia è in rivolta contro Erdogan e in Tunisia calano i consensi per Ennahda: il futuro per i Fratelli non sembra così roseo come speravano.
Morsi aveva cercato di ingraziarsi le classi privilegiate e la finanza internazionali ma ha pagato l'incapacità di dare risposte ai settori popolari colpiti dalla crisi e il tentativo di islamizzare il Paese.
Il paradosso è che mentre nel 2011 l'esercito (in particolare il temuto maresciallo Tantawi) era considerato il nemico principale del movimento di opposizione per il suo sostegno a Mubarak, oggi il colpo di Stato che ha destituito Morsi è stato salutato con favore dalla piazza. “Questo non è un colpo di Stato” si gridava nei cortei. E “questo non è un colpo di Stato“ è anche la parola d'ordine a Washington. Gli USA non possono infatti sostenere ufficialmente regimi golpisti, ma Israele preme perché venga confermato all'esercito egiziano un aiuto di 1.300 milioni di dollari che contribuirebbe a stabilizzare la regione.
Quali sono le prospettive? Il movimento di opposizione, per quanto ampio e radicalizzato, non ha né personalità carismatiche in grado di imporsi nella battaglia elettorale, né un chiaro programma alternativo. Ne fanno parte i vecchi arnesi della dittatura, i salafiti, settori laici e liberali e la sinistra è praticamente ininfluente.
I Fratelli Musulmani non accetteranno di buon grado di essere stati defenestrati per cui esiste il pericolo di una guerra civile. Ma l'Egitto non è la Siria e USA, UE e Israele preferiranno un regime militare “duro” con la copertura di qualche personaggio-immagine come el-Baradei.
Molto illuminante in proposito l'editoriale del 7 luglio scorso sul Wall Street Journal: “Gli egiziani sarebbero fortunati se i loro generali al governo si rivelassero della stessa pasta del cileno Augusto Pinochet, che prese il potere in mezzo al caos ma ingaggiò riformatori liberisti e promosse una transizione alla democrazia. Se il generale Sisi cercasse soltanto di restaurare il vecchio ordine di Mubarak, probabilmente incontrerebbe lo stesso destino di Morsi”. Illuminante e inquietante.
Nello Gradirà
tratto da Senza Soste n.84 (luglio-agosto 2013)

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