Quantcast
Channel: PRECARI UNITED
Viewing all articles
Browse latest Browse all 2361

LA VENDETTA DELL'UE.

$
0
0
Tsipras, per rimanere fedele alla sua vocazione di internità all'UE (la quale, ribadiamolo, nulla ha a che vedere col concetto geografico e culturale d'Europa), aveva già molto sacrificato rispetto alla bozza programmatica arrivando anche ad un certo livello di tensione con parte della stessa Syriza; tuttavia il referendum sembrava comunque aver aperto un varco di presa di posizione politica dentro un'Unione fondata sulla governance e sul verticismo decisionale.
All'UE non basta la mediazione al ribasso di Tsipras (qui ben spiegata senza fanatismi pro o contro http://www.internazionale.it/…/alexis-tsipras-proposta-cred…) , e probabilmente c'è la volontà di liquidare al più presto l'esperienza di questo governo.
La domanda è quanto dentro l' UE ci siano margini di riformabilità politica.
Abbiamo un super Stato senza nazione, ovvero un meccanismo di governance assoluta e non negoziabile in cui declinare le lotte, finanche al solo minimo livello elettorale, diventa un'impresa titanica; abbiamo un sistema economico a trazione tedesca che sacrifica e penalizza economie periferiche e qualsiasi classe o ceto che non sia il gotha della borghesia finanziaria transnazionale. Abbiamo, in sintesi, l'esatto opposto di un superamento democratico dello Stato Nazione, cioè un totale accentramento decisionale, e che ora si appresta ad accettare anche il TTIP, cioè la negazione concettuale stessa di ogni autonomia democratica ed economica.
Chi scrive aveva sempre rifiutato l'idea semplicistica di uscita unilaterale dall'UE, ma ha sempre pensato che l'uscita, di propria iniziativa o per costrizione (e la conseguenza ricerca di partnership e trattati bilaterali con tutto quel mondo che vive ed esiste fuori dall'UE, dai Paesi mediterranei, ai BRICS ai Paesi ALBA), sarebbe stata l'unica condizione reale e fattuale possibile davanti allo scontro tra l'UE e Stati che cercassero di perseguire una politica di opposizione a questo super governo, diretta espressione della governance del Capitale atlantico.
I fatti sembrerebbero purtroppo confermare queste considerazioni.




da http://ilmanifesto.info/la-vendetta-delleuropa/

Grecia. Ultimatum a Tsipras con condizioni capestro. "Umilianti e disastrose", risponde il leader greco. Si tratta nella notte, ma per il Guardian è in corso un "waterboarding mentale" nei confronti di Atene





Più che un nego­ziato, quello di ieri a Bru­xel­les è stato per Ale­xis Tsi­pras un “water­boar­ding men­tale”. E’ stato il quo­ti­diano inglese The Guar­dian a para­go­nare il fac­cia a fac­cia tra il pre­mier greco, Fran­cois Hol­lande, Angela Mer­kel e il pre­si­dente di turno dell’Ue, il polacco Donald Tusk, alla fami­ge­rata tor­tura uti­liz­zata dalla Cia per far par­lare i pre­sunti terroristi.
Ma, all’esito dell’ennesima este­nuante gior­nata di riu­nioni a porte chiuse e quando ancora i lea­der euro­pei erano riu­niti per un’altra notte di trat­ta­tive, le parole forti si spre­ca­vano: il secondo hash­tag più twit­tato al mondo era #thi­si­sa­coup (“que­sto è un colpo di Stato”), sem­pre il Guar­dian tito­lava “L’Europa si ven­dica di Tsi­pras”, men­tre il quo­ti­diano fran­cese Libe­ra­tion si chie­deva “a che gioco gioca la Ger­ma­nia” e il tede­sco Der Spie­gel par­lava di “cata­logo di atro­cità”.
Era acca­duto che, nel tardo pome­rig­gio, al ter­mine di un Euro­gruppo aggior­nato dalla sera pre­ce­dente dopo un duro scam­bio di bat­tute Mario Dra­ghi e il mini­stro delle Finanze tede­sco Wol­fgang Schau­ble (“don’t take me for a fool”, “non pren­dermi per stu­pido”, aveva detto quest’ultimo al capo della Bce), era tra­pe­lata una bozza di ulti­ma­tum che suo­nava come un’umiliazione per il governo greco, inu­til­mente ven­di­ca­tiva e mirante a chiu­dere la “paren­tesi di sini­stra” rap­pre­sen­tata dal governo Syriza. In buona sostanza, si chie­deva alla Gre­cia di cedere la sua sovra­nità fiscale (e non solo) in cam­bio della ria­per­tura delle trat­ta­tive, in ogni caso non veniva escluso un Gre­xit, anche tem­po­ra­neo, e si pone­vano condizioni-capestro: alcune riforme da attuare in appena 72 ore, tra cui quella delle pen­sioni e l’aumento dell’Iva, garan­zie in beni sta­tali (archi­tet­to­nici, arti­stici, infra­strut­ture, etc.) per 50 miliardi da con­se­gnare all’Agenzia per le pri­va­tiz­za­zioni la cui sede sarebbe tra­sfe­rita in Lus­sem­burgo, la rein­tro­du­zione dei licen­zia­menti col­let­tivi e la riforma della contrattazione.
Infine, l’abolizione imme­diata di tutte le leggi appro­vate dal governo Tsi­pras, tra le quali misure uma­ni­ta­rie come gli aiuti a pagare le bol­lette dell’elettricità e dell’acqua, lo stop agli sfratti e l’azzeramento del tic­ket per acce­dere al ser­vi­zio sani­ta­rio nazio­nale per le fasce più povere della popo­la­zione, ma anche la rias­sun­zione dei dipen­denti pub­blici licen­ziati dal governo Sama­ras (a par­tire da quelli della tv di Stato Ert, che è stata ria­perta, e delle dipen­denti delle puli­zie del mini­stero delle Finanze, primo atto di Yan­nis Varou­fa­kis al suo inse­dia­mento).
Con­di­zioni pale­se­mente inac­cet­ta­bili, defi­nite “umi­lianti e disa­strose” dai nego­zia­tori greci e che hanno fatto sbot­tare il mini­stro della Difesa Panos Kam­me­nos: “Ci vogliono schiac­ciare, ora basta”, ha detto il lea­der dell’Anel (Greci Indi­pen­denti), part­ner di governo di Syriza che, pur non d’accordo con l’ultima pro­po­sta pre­sen­tata da Tsi­pras all’Eurogruppo, l’aveva votata in Par­la­mento per il timore che, in caso con­tra­rio, sarebbe potuta esplo­dere una “guerra civile”. Tutto ciò men­tre, in serata, ad Atene cir­co­lava un son­dag­gio per il quale il 68 per cento dei greci a que­sto punto sarebbe a favore del Gre­xit: un capo­la­voro poli­tico per i fal­chi dell’eurozona, che sono riu­sciti a far per­dere total­mente fidu­cia in loro a una popo­la­zione, com­preso l’elettorato di Syriza, asso­lu­ta­mente euro­pei­sta.
Ma è tutta l’impalcatura comu­ni­ta­ria che scric­chiola visto­sa­mente e rischia di venir giù all’emergere del primo vero dis­senso poli­tico. Capeg­giato dalla Ger­ma­nia (e le cro­na­che rac­con­tano che la più dura con­tro la Gre­cia, ieri, fosse Angela Mer­kel, quasi a smen­tire le voci di diver­genze con il falco Schau­ble), il fronte del no si è fatto forza di un voto del Par­la­mento di Hel­sinki (dove ha pesato il 21 per cento dell’estrema destra dei Veri fin­lan­desi, in mag­gio­ranza) per com­pat­tare uno schie­ra­mento a favore dell’espulsione di Atene dall’eurozona che com­prende pure i paesi bal­tici e l’Olanda.
Sul fronte oppo­sto la Fran­cia, che aveva dato una mano al governo greco per la pre­sen­ta­zione della pro­po­sta, e a quanto pare Mario Dra­ghi, men­tre è rima­sto mar­gi­nale il ruolo dell’Italia. Hol­lande era arri­vato a Bru­xel­les soste­nendo che non avrebbe mai per­messo che la Gre­cia andasse fuori dall’euro, ma è stato scon­fes­sato dal docu­mento dell’Eurogruppo. E’ a par­tire da quella base che si è trat­tato per tutta la notte. Ma, comun­que vada, le ferite di que­sta brutta vicenda rischiano di rima­nere aperte a lungo. Una brutta pagina per l’intera Europa.

Viewing all articles
Browse latest Browse all 2361

Trending Articles