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LA RESA DEI CONTI

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da  http://ilmanifesto.info/e-un-referendum-sulla-democrazia/



Probabilmente l'articolo che segue è stato scritto prima della decisione di chiudere le banche per sei giorni per evitare la fuga di capitali, e su questo non è aggiornato.
Per il resto, si può discutere se Syriza ha fatto bene ad indire il referendum o se avesse già il mandato elettorale per decidere contro le misure dell'UE.
Sta di fatto, a mio avviso, che su una decisione così cruciale si devono correre dei rischi: Syriza non ha certo avuto il 51% dei voti, e, data la maturità mostrata da larghe fasce di classe della popolazione greca (parlo di larghe fasce perchè non dimentico il consenso esistente verso Alba Dorata), rilanciare un referendum significa appellarsi al consenso di una popolazione e di un'opinione pubblica matura, attiva e partecipativa in giusta coerenza con la mentalità di un governo popolare.
Quel che verrà non è dato sapersi, certo è che in Italia un dibattito così maturo sarebbe stato difficile, perchè i referendum hanno senso dove la popolazione ha una certa alfabetizzazione politica.




Ale­xis Tsi­pras non aveva altra scelta di fronte al ricatto «pren­dere o lasciare» dei cre­di­tori, se non quella di rivol­gersi ai greci. Il pre­mier greco, se dovesse accet­tare le pro­po­ste dei part­ner euro­pei, andrebbe con­tro il pro­gramma di governo, il «pro­gramma di Salo­nicco» e il man­dato popo­lare. Inol­tre — e que­sto ha inciso sulla deci­sione per il refe­ren­dum — avrebbe dato il suo con­senso a nuove misure restrit­tive, senza risol­vere la que­stione del debito. Il refe­ren­dum, idea che è sem­pre stata pre­sente, è una mossa di grande rischio poli­tico, che potrebbe indi­riz­zare il nego­ziato verso un com­pro­messo ono­re­vole (obiet­tivo del governo greco); oppure potrebbe por­tare la Gre­cia a un sta­tus di «default con­trol­lato» den­tro l’eurozona e un nuovo ricorso alle urne.
Nel primo caso la deci­sione del governo sarebbe parte delle trat­ta­tive; nel secondo, se i part­ner euro­pei chiu­des­sero le porte a Tsi­pras, Atene e tutta l’Unione euro­pea si diri­ge­reb­bero verso «acque sco­no­sciute». Tsi­pras di fronte all’autoritarismo politico-finanziario e le nuove misure rec­ces­sive pro­mosse dai neo­li­be­ri­sti euro­pei, ha rispo­sto pro­po­nendo la demo­cra­zia e la neces­sità di «un’altra Europa» della soli­da­rietà e dei diritti.
Chi ha seguito ora dopo ora il duro nego­ziato tra Atene e i suoi cre­di­tori, avrà scorto il chiaro ten­ta­tivo di umi­liare per­so­nal­mente Tsi­pras. Nono­stante le con­ces­sioni da parte di Atene, alcuni dei cre­di­tori si irri­gi­di­vano sem­pre di più, met­tendo nuove richie­ste sul tavolo delle trat­ta­tive. Negli ultimi giorni, sem­brava quasi che alcuni cre­di­tori (Lagarde, Schau­ble) voles­sero l’uscita della Gre­cia dall’eurozona, boi­cot­tando ogni ten­ta­tivo d’intesa.
Que­sta intran­si­genza ha finito per raf­for­zare quelle voci interne a Syriza che si schie­rano a favore di vie alter­na­tive di svi­luppo per il paese e l’uscita della Gre­cia dall’eurozona, met­tendo alla prova la com­pat­tezza del suo gruppo par­la­men­tare. Inol­tre, la posi­zione del Fmi ha fatto ina­sprire i «Greci indi­pen­denti», part­ner di governo pronti a votare con­tro l’eventuale intesa.
In que­sto ambito, secondo fonti gover­na­tive, a Bru­xel­les è stata presa la deci­sione per un refe­ren­dum sulla pro­po­sta dei cre­di­tori. Nella riu­nione nell’albergo della rap­pre­sen­tanza greca, erano pre­senti, oltre al pre­mier, il part­ner di governo e lea­der del par­tito di destra Anel, Panos Kam­me­nos, il vice-premier, Yan­nis Dra­ga­sa­kis, il mini­stro delle finanze, Yanis Varou­fa­kis, il por­ta­voce, Gabriel Sakel­la­ri­dis, il capo-gruppo della squa­dra greca di nego­ziato, Euclid Tsa­ka­lo­tos e il mini­stro Nikos Papas, brac­cio destro di Tsipras.

La rea­zione della popolazione

Fin dalla mat­tina c’è stata la corsa ai ban­co­mat –a fine mese ven­gono pagati dipen­denti e pen­sio­nati — a dire la verità senza panico, né accuse con­tro il governo visto che pre­vale l’indignazione con­tro i cre­di­tori. L’Alpha Bank ha sospeso fino a domat­tina il tra­sfe­ri­mento di denaro in altre ban­che, come rife­ri­sce il suo sito web. Ieri, ancora prima dell’incontro a Fran­co­forte del vice-premier e del capo-gruppo della squa­dra greca con il pre­si­dente della Bce, il vice-ministro della Riforma ammi­ni­stra­tiva, Yor­gos Katrou­ga­los ha assi­cu­rato che «lunedì pros­simo il governo greco non chiu­derà le ban­che, né saranno intro­dotti con­trolli sui capitali».
Non è da esclu­dere però il capi­tal con­trol, men­tre si parla dell’eventualità di un «default con­trol­lato» visto che la Gre­cia il 30 giu­gno non sarà in grado di pagare 1,6 miliardi di euro al Fmi. A livello eco­no­mico tutto dipen­derà dall’atteggiamento della Banca cen­trale euro­pea, che finora, tra­mite l’Ela, ha garan­tito la liqui­dità alle ban­che elle­ni­che. Di fatto Dra­ghi che «ha dimo­strato com­pren­sione per la scelta del refe­ren­dum» durante una tele­fo­nata con Tsi­pras, non ha alter­na­tive oltre il 30 giugno.
Al mas­simo per le pros­sime 48 ore l’Eurotower potrebbe garan­tire la liqui­dità agli isti­tuti di cre­dito elle­nici. Dopo mar­tedì pros­simo, giorno in cui scade il pro­gramma greco, i rubi­netti della Bce chiu­dono, visto che secondo il suo sta­tuto ven­gono aiu­tati paesi che sono o sono in pro­cesso di essere sot­to­messi a pro­grammi di sal­va­tag­gio. In que­sto caso la Gre­cia «perde» più di 20 miliardi di euro, ovvero gli «aiuti finan­ziari» dei cre­di­tori, ma gua­da­gna — se non pagherà — le rate del suo debito. Un man­cato paga­mento non implica l’uscita dall’eurozona.

Il dibat­tito politico

Più com­pli­cata appare la situa­zione a livello poli­tico. L’annuncio del refe­ren­dum sem­bra che ini­zial­mente abbia raf­for­zato la fer­mezza della mag­gio­ranza dei greci con­tro l’intesa. Par­lando con le per­sone per strada, nei negozi, alcuni, con uno spi­rito di sol­lievo, si erano schie­rati a favore del «no» al piano di sal­va­tag­gio voluto dai cre­di­tori. La stessa posi­zione era stata espressa da tutti i mini­stri e i diri­genti di Syriza che invi­tano i greci a votare contro.
Un’assenza piena di signi­fi­cati invece, durante la gior­nata di ieri, è stata quella del capo­gruppo euro­par­la­men­tare, Dimi­tris Papa­di­mou­lis e del mini­stro dell’economia, Jor­gos Sta­tha­kis.
Durante la gior­nata il clima è lie­ve­mente cam­biato, dopo la dura con­danna dell’opposizione del cen­tro e della destra , che durante il dibat­tito par­la­men­tare per l’approvazione della pro­po­sta per il refe­ren­dum, hanno cri­ti­cato Tsi­pras di voler por­tare il paese fuori dall’Ue. Tutta l’opposizione ha soste­nuto che non si può fare un refe­ren­dum «per una que­stione fiscale», ed «è quindi anti-costituzionale», men­tre la mag­gio­ranza dei costi­tu­zio­na­li­sti da diverse aree poli­ti­che ha notato che «le pro­po­ste dei cre­di­tori sono una que­stione di inte­resse nazio­nale», sot­to­li­neando la legit­ti­mi­tà­del referendum.
Al di là di que­sto, il refe­ren­dum, per l’opposizione equi­vale a una domanda sulla per­ma­nenza o meno nell’Unione euro­pea. Il ten­ta­tivo è chiaro: gio­care sulla volontà della mag­gio­ranza dei greci, che rifiu­tano il piano di sal­va­tag­gio, ma nello stesso tempo si schie­rano a favore della per­ma­nenza del paese nell’eurozona. La con­fu­sione viene ali­men­tata dal fatto che da Bru­xel­les i cre­di­tori sosten­gono che «non esi­ste un pac­chetto uffi­ciale di pro­po­ste» e che «comun­que tali pro­po­ste non saranno più valide dopo il 30 giu­gno, e quindi non ha senso il referendum».
In effetti dal momento che da mar­tedì pros­simo con la sca­denza del pro­gramma dei cre­di­tori non saranno più valide nean­che le loro pro­po­ste, la domanda che si pone è «per quale motivo orga­niz­zare la con­sul­ta­zione popo­lare». In più, visto che i cre­di­tori potreb­bero deci­dere da un momento all’altro anche un pic­colo cam­bia­mento nel loro pac­chetto di misure restrit­tive, su che cosa vote­ranno i greci? Le pros­sime ore sono più che cri­ti­che per l’avvenire del Paese.



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