
FUNERE MERSIT ACERBO *
O tu che dormi là su la fiorita
Collina tósca, e ti sta il padre a canto;
Non hai tra l’erbe del sepolcro udita
4Pur ora una gentil voce di pianto?
È il fanciulletto mio, che a la romita
Tua porta batte: ei che nel grande e santo
Nome te rinnovava, anch’ei la vita
8Fugge, o fratel, che a te fu amara tanto.
Ahi no! giocava per le pinte aiole,
E arriso pur di visïon leggiadre
11L’ombra l’avvolse, ed a le fredde e sole
Vostre rive lo spinse. Oh, giú ne l’adre
Sedi accoglilo tu, ché al dolce sole
14Ei volge il capo ed a chiamar la madre.
(Giosuè Carducci)
(* 'In morte acerba sommerse', tratto da Virgilio, “Eneide”; è il passo nel quale Enea, appena disceso nel regno dell'oltretomba, è colpito dalle voci e dai pianti dei bambini morti. Il sonetto è scritto per la perdita del figlio Dante, avvenuta il 9 novembre 1870, all’età di tre anni per meningite. Questa morte riacutizza l’antico dolore per il tragico suicidio del fratello minore Dante più volte rievocato nella poesia carducciana. La memoria del figlio è anche il tema della più celebre Pianto Antico)