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L'ALBERO CHE CADE E LA FORESTA CHE PUO' CRESCERE

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Dopo aver letto i numerosissimi comunicati di movimento ed esserci consultati con tanti compagni presenti in diversi punti del corteo, veniamo a dire la nostra sui fatti del Primo Maggio milanese. Saranno valutazioni militanti dirette innanzitutto a militanti, sperando comunque di essere comprensibili a quanti, al di fuori delle organizzazioni e degli attivisti, siano sinceramente interessati.


Per poter avere una lettura in certo qual modo oggettiva dei fatti, a nostro avviso essi vanno inquadrati in due precisi postulati teorici: la valutazione dell'azione repressiva in questa nuova fase di riorganizzazione della stessa (e qui bisogna aspettare i provvedimenti che arriveranno, sia penali che come forma generale di divieto politico), e il fatto che il corteo, seppur numericamente ben partecipato (sui trentamila pare), era un corteo militante, in cui erano presenti al massimo delle loro possibilità tutte le varie realtà movimentiste (dai centri sociali all'ADL ai movimenti territoriali eccetera) senza un significativo apporto della -si perdoni il semplicismo dovuto a ragioni di sintesi- gente comune.
Al di fuori di questi due concetti guida, si rischia una distonia tra la propria immagine dei fatti e la durezza reale dei fatti stessi.

Assolutamente distonica, potremmo dire allucinata, è la versione che ne danno l'Autonomia diffusa ed Infoaut (http://danslarue1312.tumblr.com/post/118069428379/lexpo-e-linternazionale-senza-nome-il-carattere ;  http://www.infoaut.org/index.php/blog/editoriali/item/14541-non-a-tutti-piace-expo).
Se io, senza sapere nulla, leggessi da casa questi comunicati penserei che hanno perfettamente ragione: il problema è che essi si basano su un'illusione, anzi su una vera e propria menzogna.
A Milano non c'è stata nessuna eccedenza della rabbia sottoproletaria, non c'è stata nessuna sollevazione per quanto impolitica: si è trattato invece di un gruppo di circa 500 militanti politici italiani ed europei, organizzati ed abituati ad azioni di questo tipo.
L'assenza della classe di riferimento rende queste azioni prive di ogni logica politica, presente e futura, di ogni obiettivo sensibile e riconoscibile e dunque apre solo la strada alla repressione e alla diffamazione.
Ovvero si tratta di una serie di azioni oggettivamente controrivoluzionarie, che spianano la via alla repressione e che non aprono certo spazi di vertenzialità politica sugli obiettivi.

Dall'altra parte abbiamo tutto il resto della realtà, la stragrande maggioranza, completamente oscurata dalle gesta dei 500.
Dentro questo 'resto della realtà'è stata prodotta, per quanto nel silenzio comunicativo, l'unica azione politicamente comprensibile e mirata: il sanzionamento alla Commissione Europea.
Tuttavia, e qui è il punto, accusare il solo blocco nero del fallimento del corteo, come spesso ho letto, è secondo me troppo semplicistico e comodo e non tiene conto del secondo postulato fondamentale di cui dicevamo: la mancanza significativa del corpo  non militante dopo quasi un anno di organizzazione di questo appuntamento.
Ciò secondo noi deriva da una serie di problemi: l'assoluto scollamento di diverse realtà di movimento e di diversi centri sociali dalle classi subalterne, cosa che avviene soprattutto nelle grandi città, l'incapacità di uscire dalla logica del main event e della giornata campale -per cui magari sui territori si aggrega e si ha consenso attraverso il biologico, le lotte per la casa e quant'altro ma poi non si riesce a portare la  gente a Milano o Roma per scarsa percezione della stessa del legame coi propri bisogni- e una certa tendenza all'autoreferenzialità delle discussioni e delle pratiche, per cui sembra che tutto il mondo rimanga dentro i conflitti tra aree, quando si tratta sempre e comunque di parti minoritarie se si guarda la società fuori dalla logica della 'riserva indiana'.
Sono tutti problemi assolutamente risolvibili che passano per una riflessione a trecentosessanta gradi sulle pratiche e sull'ampliamento dell'attività nei territori e sui bisogni: è necessaria tanta costanza e tanto marxiano lavoro della talpa prima di poter acquisire la necessaria potenza di cui i cortei nazionali devono essere megafono ed espressione, per costituire il passo di un successivo ampliamento e generalizzazione delle lotte.

La nota positiva -ci si permetta un po' di campanilismo- viene proprio da Senigallia (come probabilmente da tante altre realtà fuori dai grandi centri urbani).
L'Arvultùra ha portato a Milano diverse persone esterne alla militanza, è stata sempre compatta nello spezzone a fare i cordoni, con grande determinazione, ma anche con tanta serenità e, ove possibile, allegria.
Questo è il risultato, per riprendere quanto sopra, di un grande lavoro nel territorio che va avanti da anni, e che a nostro avviso deve essere un  modello per molte realtà nel meccanismo virtuoso di partecipazione che ha saputo produrre

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