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CHI E' UBER, IL NUOVO SPONSOR DI EXPO.

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da  http://ilmanifesto.info/uber-si-auto-promuove-e-boicotta-lo-sciopero-dei-trasporti/


Sharing Economy. La multinazionale: corse gratis a Milano durante la mobilitazione Usb-Cub contro il Jobs Act e per il welfare. Ieri il servizio taxi e noleggio auto ha annunciato la partnership con Expo 2015: "I principi di Uber sono ispirati alla sharing economy, alla collaborazione e all'efficienza dei servizi, i temi del padiglione americano"





Sullo scio­pero dei tra­sporti locali indetto da Usb Lavoro Pri­vato e Cub Tra­sporti con­tro il Jobs Act, il taglio dei ser­vizi del wel­fare locale, il blocco del con­tratto da otto anni, il mono­po­lio della rap­pre­sen­tanza sin­da­cale e l’extralavoro pre­vi­sto per Expo, ieri a Milano si è avven­tata Uber. I pos­ses­sori di un biglietto dell’azienda dei tra­sporti mila­nese (Atm), oltre che di uno smart­phone, hanno potuto godere di una corsa gra­tis nelle auto della mul­ti­na­zio­nale dalle 18 alle 22. Secondo i sin­da­cati allo scio­pero hanno ade­rito il 50% dei lavo­ra­tori a Bolo­gna, il 40% nelle aziende napo­le­tane Anm e Ctt, il 30% a venezia-Mestre, il 37% delle vet­ture di turno a Roma.
Alla vigi­lia, l’aggressiva cam­pa­gna di mar­ke­ting del colosso ame­ri­cano aveva susci­tato una rea­zione della Cgil non certo con­ci­liante. «Fanno come i fasci­sti — ha detto Gio­vanni Mag­giolo (Unica Taxi Filt-Cgil) — che gui­da­rono i tram durante la guerra, con i tran­vieri in scio­pero. Una pro­po­sta bieca, tutto pur di farsi pub­bli­cità». «I cru­miri di #Uber come #fasci­sti sui tram » ha rin­ca­rato la dose ieri su twit­ter Gior­gio Cre­ma­schi. In una nota l’Unione Sin­da­cale di Base (Usb) ha par­lato di «vol­gare sabo­tag­gio» e «com­por­ta­menti pale­se­mente anti­sin­da­cali» da parte di Uber anche a Roma e Torino, un epi­so­dio già regi­strato ai danni degli auto­fer­ro­tram­vieri di Genova durante uno scio­pero dello scorso 10 marzo. Usb ha annun­ciato azioni per la difesa del «già pre­ca­rio diritto di scio­pero». Secondo il sin­da­cato Uber ha inne­scato una “guerra tra poveri” tra gli ope­ra­tori del ser­vi­zio taxi e ora con­tro i lavo­ra­tori del tra­sporto pub­blico locale.
Di tutt’altro avviso è la società di «ride sha­ring» che ha sede fiscale in Olanda. La gene­ral mana­ger di Uber-Italia, Bene­detta Arese Lucini, ha pre­sen­tato l’iniziativa come una «pro­mo­zione»: «Con lo scio­pero dei mezzi — ha spie­gato — le città diven­tano meno acces­si­bili e spo­starsi è quasi impos­si­bile. Con que­sta ini­zia­tiva abbiamo voluto fare la nostra parte per aiu­tare i mila­nesi a muo­versi in un momento di dif­fi­coltà». A parte il ten­ta­tivo di sabo­tare uno scio­pero nazio­nale di 4 ore, l’operazione ideo­lo­gica dell’azienda è insidiosa.
Uber ha giu­sti­fi­cato la sua azione in nome dell’«economia della con­di­vi­sione» (sha­ring eco­nomy). «Il nostro è un pro­getto ampio che favo­ri­sce la mobi­lità soste­ni­bile e inte­grata e pro­muove la sha­ring eco­nomy anche e soprat­tutto a Milano» ha aggiunto Arese Lucini. L’operazione è stata rece­pita su twit­ter, pro­ba­bil­mente da account di «influen­cer», a soste­gno del « libero mer­cato» con­tro i sin­da­cati e le «cor­po­ra­zioni» dei tas­si­sti che hanno già mani­fe­stato con­tro Uber a Torino, ad esempio.
L’economia della con­di­vi­sione, espres­sione ambi­va­lente con­ce­pita sia per con­di­vi­dere beni e ser­vizi in comune, sia per imple­men­tare un modello com­mer­ciale, è diven­tata l’occasione per acce­le­rare i pro­cessi di «deso­cia­liz­za­zione» e, nel caso dello scio­pero dei sin­da­cati di base, per pre­ca­riz­zare il diritto di scio­pero a difesa dei ser­vizi pub­blici e del wel­fare locale già dimez­zati dai tagli a cui sono costretti comuni e regioni dall’austerity. Ieri i cit­ta­dini sono stati gli invo­lon­tari pro­ta­go­ni­sti di un con­flitto tra orga­niz­za­zioni che difen­de­vano il wel­fare e un’azienda che agi­sce in uno sce­na­rio di accu­mu­la­zione capi­ta­li­stica, quella che lo stu­dioso Michael Bau­wens ha defi­nito «netar­chi­cal o distri­bu­ted capitalism».
Uno sce­na­rio nuovo che inter­roga anche le tra­di­zio­nali forme di mobi­li­ta­zione adot­tate dai sin­da­cati nel set­tore della mobi­lità, un bene comune molto importante.
A com­ple­tare un con­flitto ancora poco cono­sciuto in Ita­lia, ma pie­na­mente agente da almeno un anno, è giunta ieri una noti­zia più che signi­fi­ca­tiva: Uber è stato nomi­nato part­ner uffi­ciale per il tra­sporto delle per­sone al padi­glione sta­tu­ni­tense all’Expo 2015 dedi­cato al tema «Ame­ri­can Food 2.0: Uniti per nutrire il pia­neta». Il boi­cot­tag­gio dello scio­pero dei sin­da­cati di base è così diven­tato l’occasione per lan­ciare un’iniziativa pro-Expo.
Dopo Mc Donald’s e Coca Cola, un’altra mul­ti­na­zio­nale Usa si aggiunge al cor­redo degli spon­sor di un’esposizione che sovrap­pone i prin­cipi etici («nutrire il pia­neta» o i «beni comuni») con il capi­ta­li­smo «on demand» ispi­rato ad una ver­sione com­mer­ciale della «sha­ring economy».
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Leggi: Uber, la sco­moda realtà per una start-up: il lavoro si paga

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da  http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2015/01/19/carlo-formenti-abbasso-uber/


ABBASSO UBER, di Carlo Formenti


Il New York Times riferisce che Travis Kalanick, Il CEO di Uber, la startup americana che gestisce una applicazione che mette in contatto autisti e passeggeri via smartphone, sta compiendo una serie di viaggi in diverse città europee per convincere le amministrazioni locali a consentire l’attivazione del servizio, bypassando l’opposizione delle associazioni dei tassisti che, spalleggiate da partiti e sindacati, sono finora riusciti a sbarrargli la strada in molte città, fra cui Berlino, Amsterdam e tutte le città iberiche (dopo che un giudice di quel Paese ha dichiarato che Uber viola le leggi spagnole e fa concorrenza sleale ai tassisti “ufficiali”).
Kalanick controargomenta che quelle leggi, e più in generale tutti i regolamenti europei in materia, agevolano la formazione di monopoli corporativi sui servizi di taxi e che l’Europa, se fosse coerente con i suoi principi liberisti, dovrebbe essere ben contenta di favorire un operatore che reintroduce la libera concorrenza nel settore, contribuendo ad abbattere i prezzi a tutto favore dei cittadini/consumatori. In altre parole, i politici dovrebbero capire che, dando via libera a Uber, si alienerebbero il consenso di una piccola corporazione ma guadagnerebbero quello della massa degli utenti.
Dal punto di vista neoliberista, il ragionamento non fa una grinza, ma proviamo a considerare la faccenda da un altro punto di vista. Cominciamo prima di tutto a spiegare come funziona – e come realizza i suoi profitti – Uber. Gli autisti, ovviamente, non vengono assunti: si tratta di lavoratori precari molti dei quali svolgono questa attività come secondo lavoro, per integrare i redditi insufficienti che percepiscono da altre fonti (fra le loro fila c’è di tutto: lavoratori del terziario arretrato, ma anche pensionati, studenti, professori e perfino esponenti di qualche professione “nobile” a corto di clienti).
Non essendo tutelati dalle associazioni di categoria accettano compensi irrisori e devono rendersi disponibili a scattare nel momento in cui vengono contatti dai clienti attraverso il software di Uber (nessuno li “obbliga” a farlo, ma è chiaro che meno rispondono meno guadagnano, per cui finiscono per rendersi disponibili in ogni momento libero). In breve, siamo di fronte a un tipico modello di business della new Economy: supersfruttamento, precarietà, assunzione di tutti i rischi da parte del lavoratore “autonomo” che viene ironicamente etichettato come imprenditore di se stesso.
Passiamo ora ai vantaggi per il cittadino/consumatore. In primo luogo andrebbe chiarito che non stiamo parlando della massa degli appartenenti agli strati sociali medio bassi, i quali si servono assai più spesso di autobus, metropolitane e altri mezzi di trasporto pubblici piuttosto che di taxi – un mezzo di trasporto i cui utenti non occasionali sono in generale membri delle classi medio alte o impiegati che possono addebitare il prezzo della corsa ai datori di lavoro.
Il taxi è il mezzo di trasporto tipico dei centri urbani gentrificati, da cui sono stati espulse le attività industriali, la classe operaia e i tradizionali quartieri popolari per lasciare posto a megauffici e quartieri residenziali. Da parte loro i tassisti (come ristoratori, addetti alle pulizie, conduttori di tram, badanti, ecc.) fanno parte della massa di lavoratori non qualificati che restano in città a prestare servizi ai “veri” professionisti.
La “soluzione” che Uber propone alle città europee, dopo averla sperimentata Oltreoceano, è dunque quella della guerra fra poveri per cui chi sta sotto subisce la concorrenza di chi sta ancora più sotto per far guadagnare più soldi al padrone (in questo caso Uber) e per far risparmiare chi potrebbe benissimo permettersi di continuare a pagare quanto paga attualmente per un certo servizio. Il generico cittadino/consumatore, in nome del quale si scatenano queste guerre al ribasso, letteralmente non esiste: è una figura immaginaria dietro cui si nascondo classi sociali dagli interessi assai diversi, se non in aperto conflitto.
Carlo Formenti

(19 gennaio 2015)

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