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LA BANCA DEI QUATTRO.

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Cina . Usa contro Londra, prima capitale del G7 ad aderire al progetto cinese. Anche Australia e Corea del Sud verso l’ok

da  http://ilmanifesto.info/la-banca-dei-quattro-made-in-china/




Nel 2014, poche set­ti­mane dopo il lan­cio dell’Asia Infra­struc­ture invest­ments Bank (Aiib) banca d’investimento a guida cinese, con soci fon­da­tori asia­tici, l’Australia, data in pro­cinto di entrare fin da subito nella nuova isti­tu­zione, si era improv­vi­sa­mente tirata indie­tro. I motivi ripor­tati dal governo austra­liano riguar­da­vano alcune regole della banca. La Cina sarebbe stata «poco tra­spa­rente» e quindi per l’Australia non era pos­si­bile par­te­ci­pare al progetto.
Ovvia­mente tutti sape­vano la reale moti­va­zione del diniego austra­liano: si erano messi in mezzo gli Stati uniti, pre­oc­cu­pati della nascita di una sorta di Banca mon­diale a guida cinese. Insieme a Washing­ton si era irri­tata anche Tokyo, per­ché l’Aiib diven­tava imme­diata com­pe­ti­tor dell’Asian deve­lo­p­ment Bank (con Usa e Giap­pone a gudiarla).
L’Australia cam­bia idea
Que­sto nel 2014: ieri improv­vi­sa­mente l’Australia ha fatto sapere di essere pronta a ripen­sare alla pos­si­bi­lità di diven­tare Stato fon­da­tore (con India, Nuova Zelanda, Indo­ne­sia, Tai­lan­dia, Viet­nam, Filip­pine, Qatar e Oman) della banca.
Sono cam­biati dun­que i metodi cinesi, dive­nuti più «tra­spa­renti»? Seb­bene l’Australia abbia rife­rito di modi­fi­che cinesi alla «gover­nance» dell’istituto ban­ca­rio, quanto è dav­vero cam­biato è stato l’arrivo di uno Stato fon­da­tore di tutto rispetto, la Gran Bre­ta­gna, primo paese tra i G7 ad ade­rire al pro­getto cinese. E come comu­ni­cato ieri dal sito del Mini­stero dell’economia e delle finanze ita­liano, «Fran­cia, Ger­ma­nia e Ita­lia hanno annun­ciato l’intenzione di diven­tare mem­bri fon­da­tori della Asian Infra­struc­ture Invest­ment Bank (Aiib). La Aiib, quale nuova banca d’investimento che lavo­rerà con le ban­che mul­ti­la­te­rali di svi­luppo e di inve­sti­mento esi­stenti, può svol­gere un ruolo di rilievo nel finan­zia­mento dell’ampio fab­bi­so­gno infra­strut­tu­rale dell’Asia. In que­sto modo, la Aiib pro­muo­verà lo svi­luppo eco­no­mico e sociale nella regione e con­tri­buirà alla cre­scita mondiale».
Una svolta sto­rica, desti­nata a cam­biare per sem­pre gli equi­li­bri geo­po­li­tici mon­diali. Una enne­sima dimo­stra­zione della capa­cità di attra­zione cinese, che ha già messo 50 miliardi di dol­lari come inve­sti­mento ini­ziale della banca, con l’intento di arri­vare a 100 miliardi totali e che come corol­la­rio, finan­zierà pro­getti com­mer­ciali ben pre­cisi: infra­strut­ture e non solo. Ci sono alcuni punti su cui riflet­tere, a pro­po­sito: da un lato c’è il ner­vo­si­smo ame­ri­cano per que­sta scelta dei paesi occi­den­tali, dall’altro ci sono le ragioni che hanno attratto Lon­dra, Parigi e Roma.
La rab­bia di Obama
Nei giorni scorsi, il Finan­cial Times ha ripor­tato la rab­bia con cui gli Usa hanno rea­gito alla scelta di Lon­dra, con­si­de­rato part­ner stra­te­gico e pri­vi­le­giato di Washing­ton. Secondo l’amministrazione Obama Lon­dra avrebbe con­fer­mato il «costante acco­mo­da­mento» che da tempo sarebbe in atto con Pechino. Ma si tratta di un ner­vo­si­smo tar­divo; la capa­cità cinese di irre­tire è nota da tempo, l’annuncio di isti­tuire la banca risale a oltre un anno fa. E ancora da più tempo la Cina chiede una mag­gior distri­bu­zione del potere all’interno di organi inter­na­zio­nali come il Fondo mone­ta­rio o la stessa World Bank. Con­ces­sioni che gli Usa non hanno mai fatto.
La Gran Bre­ta­gna – ha scritto il Finan­cial Times — ha cer­cato di acqui­sire il «van­tag­gio di chi agi­sce per primo». Il governo bri­tan­nico avrebbe giu­sti­fi­cato la mossa, soste­nendo di doversi muo­vere rapi­da­mente a causa delle immi­nenti ele­zioni gene­rali del pros­simo 7 maggio.
Il «colpo» di George Osborne, il can­cel­liere dello Scac­chiere bri­tan­nico, ha rice­vuto applausi a Pechino. Quanto alla scelta inglese, gli Usa, via Patrick Ven­trell, por­ta­voce del Con­si­glio di sicu­rezza nazio­nale, hanno spe­ci­fi­cato che «cre­diamo che qual­siasi nuova isti­tu­zione mul­ti­la­te­rale debba incor­po­rare gli ele­vati stan­dard della Banca Mon­diale e delle ban­che regio­nali di svi­luppo». «Sulla base di molte discus­sioni, ha chio­sato pole­mi­ca­mente, abbiamo dubbi sul fatto che l’Aiib rag­giun­gerà que­sti stan­dard elevati».
Per­ché sì al Pcc
L’Aiib, lan­ciata uffi­cial­mente dal pre­si­dente cinese Xi Jin­ping lo scorso anno, è un ele­mento di «una più ampia spinta cinese per creare nuove isti­tu­zioni finan­zia­rie ed eco­no­mi­che che aumen­tino la sua influenza inter­na­zio­nale», ha sot­to­li­neato il Wall Street Jour­nal. Pechino, infatti, intende finan­ziare impor­tanti pro­getti com­mer­ciali, favo­rendo per certi versi, anche se stessa.
Due le que­stioni prin­ci­pali sul tavolo: la via della Seta com­mer­ciale, con il tratto fer­ro­via­rio più lungo del mondo (da Yiwu, in Cina, a Madrid, in Spa­gna) recen­te­mente inau­gu­rato, oltre a quelli che già col­le­gano la Cina con la Ger­ma­nia, e quella marit­tima, che col­le­gherà i porti cinesi ad Amburgo. Una «stretta com­mer­ciale» che punta l’Europa, dove Pechino sta assu­mendo da tempo asset sia finan­ziari, sia eco­no­mici (inve­sti­menti immobiliari).

C’è un dise­gno: Pechino ha biso­gno di con­tro­bi­lan­ciare il «pivot to Asia», mar­chio di fab­brica della poli­tica estera di Obama e attac­care nuovi mer­cati. Quello euro­peo è un piatto su cui da tempo la Cina ha ovvia­mente messo gli occhi.

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