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CARACCIOLO E DEL BOCA SULLA LIBIA.

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da   http://temi.repubblica.it/limes/la-guerra-in-libia-e-un-regalo-al-califfo/67671

di Lucio Caracciolo
RUBRICA IL PUNTO Una campagna militare di crociati e apostati: al-Baghdadi non potrebbe chiedere di più. Senza assecondare l'avventurismo di chi dimentica il nostro passato coloniale, l'Italia può fare qualcosa contro i jihadisti della Quarta sponda.

Dopo Parigi, che guerra fa il numero di Limes in edicola


[Carta di Laura Canali tratta dal Quaderno Speciale del 2011 La guerra di Libia]

Il “califfo” al-Baghdadi non potrebbe sperare di meglio: l’invasione armata di ciò che resta della Libia, condotta da ”crociati” (italiani, francesi e altri europei) e “apostati corrotti” (egiziani più arabi e africani vari). 


Eppure del nuovo sbarco sulla quarta sponda si discetta nelle cancellerie europee e nei palazzi dei monarchi e delle giunte militari arabe, con il discreto ma pressante incoraggiamento americano. Una operazione di controguerriglia da sviluppare su un territorio largamente desertico grande sei volte l’Italia, in totale caos geopolitico, dove si affrontano decine di bande e milizie di vario colore e appartenenza etnica, locale o regionale, tutte armate fino ai denti. 


Una campagna che in teoria si presenta non dissimile dalle guerre sovietica o americana in Afghanistan, solo in un contesto molto più confuso e senza i mezzi delle superpotenze. Ma con la stessa carenza di obiettivi chiari e perseguibili. 


Perché, contrariamente a quanto affermano i suoi portavoce, lo Stato Islamico non sta conquistando la Libia. Semmai, alcune fazioni che continuano a massacrarsi senza pace usano il marchio “califfale” in franchising, per ottenere visibilità e attirare reclute. 


In ogni caso, per una spedizione oltremare toccherebbe esibire una bandiera Onu autorizzata dal Consiglio di Sicurezza - percorso non scontato - in modo da vestirla da “operazione di pace”. Come ha avvertito il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, l’Italia «è pronta a combattere, naturalmente nel quadro della legalità internazionale». 


Stavolta però la foglia di fico onusiana non potrebbe mascherare la natura della guerra: non c’è nessuna pace da preservare, nemmeno in embrione. Non basta: il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha annunciato che Roma aspira a guidare l’agognata missione schierando un contingente di cinquemila uomini. In effetti, più che di soldati avremmo bisogno di carri armati (Rommel docet), che non abbiamo: quelli davvero efficienti si contano sulle dita delle mani o poco più. 


Peggio, sembra che alcuni esponenti del governo abbiano persa la memoria del nostro passato coloniale in Tripolitania e in Cirenaica. Certo non l’hanno dimenticato i libici. «Tutto ciò cui aspiriamo è avere di nuovo gli italiani qui fra le mani», ha twittato uno dei più seguiti blogger di Misurata, nemmeno fra i più radicali. Per vendicare Omar al-Mukhtar e i suoi gloriosi martiri. 


Quattro anni dopo aver partecipato controvoglia, su uno strapuntino dell’ultimo minuto, alla liquidazione franco-britannica di Gheddafi (e della Libia), adesso rischiamo dunque di tornarci in pompa magna, per ritessere la tela che abbiamo strappato. A supportare le ambizioni egiziane sulla Cirenaica e gli interessi francesi nel Fezzan. 


Invece del Colonnello, con cui flirtammo per quattro decenni, lavoreremmo stavolta per un sedicente generale dalle ambigue credenziali, Khalifa Heftar, appoggiato da egiziani, sauditi, emiratini e altri petromonarchi del Golfo. Il quale ha saputo abilmente intestarsi la “guerra al terrorismo” (sezione libica), certificato di qualità ad uso dei governi e delle opinioni pubbliche occidentali meno avvertite, utile a legittimare l’eliminazione dei propri avversari - in questo caso anzitutto le milizie di Misurata e altri gruppi presuntamente “islamisti”. 


Puro avventurismo geopolitico, che fra l’altro significherebbe esporci gratuitamente al terrorismo jihadista sul nostro territorio molto più di quanto non lo si sia adesso. A rimettere ordine nel dibattito pubblico alimentato dai suoi stessi ministri ha pensato Matteo Renzi, avvertendo che «non è tempo per una soluzione militare». Il nostro premier ha preso tempo: meglio “aspettare l’Onu”. E ha correttamente osservato: «In Libia non c’è un’invasione dello Stato Islamico, ma alcune milizie che combattevano lì hanno iniziato a fare riferimento a loro». 


Renzi mostra così di non voler cadere nella trappola della propaganda del “califfo”, che si annuncia “a sud di Roma”. E, se volessimo davvero combattere lo Stato Islamico, potremmo attaccarlo dove effettivamente si trova, fra Siria e Iraq. Non risulta però che i nostri piloti siano autorizzati a colpirlo. 


Ma qualcosa si può e si deve fare. Prima di tutto, non accendere nuovi focolai di guerra senza speranza di vincerla. Poi, usare le leve finanziarie di cui ancora disponiamo per bloccare i flussi di denaro che arrivano ai gruppi armati - operazione tutt’altro che impossibile. In terzo luogo, colpire i traffici che alimentano i miliziani, compresi i jihadisti che fanno riferimento allo Stato Islamico. Tra Iraq e Siria gli americani hanno bombardato con qualche successo raffinerie e impianti controllati dal “califfato”. 


In Libia le Marine occidentali potrebbero affondare, prima che partano, le barche con cui i mercanti di essere umani attraversano il Canale di Sicilia, lucrando su migliaia di disperati. 


Un blocco navale di fatto, accompagnato da operazioni di forze speciali nei porti libici, infliggerebbe un colpo severo al più osceno dei traffici. E alla cassa degli aspiranti emuli del “califfo”.


Articolo pubblicato originariamente su la Repubblica il 17/2/2015




(17/02/2015)
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da  http://www.senzasoste.it/internazionale/angelo-del-boca-sulla-libia-il-governo-e-irresponsabile
Parla lo storico del colonialismo sul ruolo dell’Italia nella crisi libica. «L’affermazione del ministro Gentiloni, “Siamo pronti a combattere” e la dimenticanza sulle nostre colpe nel disastro libico, mostrano il vuoto della diplomazia. Va coinvolto subito Romano Prodi».
Arresti durante la caduta di Gheddafi nel 2011
Tommaso di Francesco - tratto da Il Manifesto
Abbiamo rivolto alcune domande sull’attuale crisi libica ad Angelo Del Boca, sto­rico del colo­nia­limso ita­liano, della Libia e autore di molti saggi sulla figura di Ghed­dafi (com­presa una impor­tante mono­gra­fia, rie­dita in que­sti giorni in una ver­sione più com­pleta da Laterza).
17desk2delboca
Come giu­di­chi l’affermazione del mini­stro degli esteri Paolo Gen­ti­loni: «Siamo pronti a com­bat­tere in Libia…», per­ché «è uno Stato fal­lito», sem­bra spie­gare Mat­teo Renzi?
È una dichia­ra­zione irre­spon­sa­bile e impru­dente. Per­ché mette l’accento (salvo mar­gi­nal­mente chia­rire il solito rife­ri­mento all’«egida Onu») pro­prio ad un inter­vento mili­tare dell’Italia che non siamo in grado di fare. Per­ché un conto è atti­vare una guerra aerea come abbiamo fatto nel 2011, un altro com­bat­tere con truppe di terra. È una dichia­ra­zione gra­vis­sima, per­ché siamo spinti den­tro uno sce­na­rio di guerra per il quale siamo ina­datti. Baste­rebbe che i nostri gover­nanti inca­paci stu­dias­sero un po’ la sto­ria, per sco­prire le tante scon­fitte libi­che che abbiamo subito. Altro che inviare 5mila uomini come ha evo­cato la mini­stra della difesa Pinotti. Da inviare con­tro chi? Su quale fronte?
Renzi, che rela­zio­nerà su que­sto gio­vedì in Par­la­mento, sem­bra ora fre­nare e parla di «solu­zione poli­tica». Ma è chiaro che, dopo il sì in patria di Ber­lu­sconi, lavora ad una «coa­li­zione di volen­te­rosi». Ma la situa­zione sem­bra pre­ci­pi­tare: l’Egitto del gene­rale gol­pi­sta Al Sisi, bypas­sando l’Italia, ieri notte ha bom­bar­dato le basi dell’Is a Derna; e ieri mat­tina la Fran­cia ha chie­sto la riu­nione urgente del Con­si­glio di sicu­rezza dell’Onu…
È nello stile di Renzi che vuole gio­care su due tavoli. Il primo è quello da «pro­ta­go­ni­sta», di una mis­sione mili­tare a guida ita­liana. Una cosa mai sen­tita, almeno nel dopo­guerra. L’altro è più pru­dente, viste le dif­fi­coltà reali di una tale enor­mità. Insomma: vabbè, lo fac­ciamo con l’Onu. Che è un atteg­gia­mento più mode­rato e più spen­di­bile. Soprat­tutto di fronte all’atteggiamento del Cairo.
Ieri notte l’aviazione egi­ziana ha bom­bar­dato le posta­zioni dello Stato isla­mico a Derna. Quali rea­zioni pro­voca in Libia l’entrata in campo dell’Egitto con l’offensiva mili­tare del generale-presidente Al Sisi? E qual è la situa­zione poli­tica interna al fronte libico, diviso e frammentato?
L’iniziativa mili­tare egi­ziana è rile­vante, anche se va ricor­dato che è ini­ziata da tempo, infatti aveva già bom­bar­dato nei giorni scorsi Ben­gasi. Di fatto il nuovo regime del Cairo appog­gia il governo libico in esi­lio di Tobruk che fa rife­ri­mento al gene­rale Kha­lifa Haf­tar e al suo eser­cito. Haf­tar com­batte già a Ben­gasi con­tro i jiha­di­sti e sta ria­bi­li­tando espo­nenti del regime di Ghed­dafi. E Al Sisi deve dare una prova di forza per­ché se non difende quel con­fine e il Sinai, per lui è finita. Il fatto è che den­tro la Libia a comin­ciare da Tri­poli, di alleati di Al Sisi non se ne vedono, Tri­poli è persa. Anche per­ché il governo legit­timo libico, eletto da ele­zioni suf­fra­gate dagli osser­va­tori inter­na­zio­nali, è nelle mani della coa­li­zione Al Fajr (Alba), for­ma­zione che va dai Fra­telli musul­mani alla mili­zia Scudo di Misu­rata. Come si ricor­derà nel 2013 il gene­rale Al Sisi ha depo­sto il pre­si­dente Morsi, mas­sa­crato e messo fuori legge i Fra­telli musul­mani. E ora le mili­zie del Calif­fato pun­tano alla con­qui­sta di Misu­rata, gover­nata appunto dalle stesse forze di Tripoli.
Non ti sem­bra che, anche sta­volta, venga taciuto l’interesse ita­liano, ormai deci­sivo, riguardo alle nostre fonti di approv­vi­gio­na­mento energetico?
Que­sto aspetto invece è fon­da­men­tale. Ma Renzi lo tace, anche per­ché la situa­zione dell’Eni in que­sto momento è pastic­ciata e inge­sti­bile. Dopo gli scan­dali legati all’Algeria e soprat­tutto per la crisi in Ucraina che, alla fine, ha sostan­zial­mente pena­liz­zato l’Unione euro­pea e in par­ti­co­lare l’Italia, visto il disa­stro della can­cel­la­zione del South Stream, il fon­da­men­tale mega-progetto di gasdotto euro­peo. Secondo me in que­sta fase — e non solo per l’insicurezza deri­vata dalla guerra per bande ma anche per il mer­cato stor­nato verso altri lidi -, l’Eni non è in grado di estrarre nem­meno un litro di petro­lio dai gia­ci­menti libici.
Come mai tanta arro­ganza e mio­pia del governo ita­liano in que­sta fase della crisi mon­diale?
È per­ché, in modo scel­le­rato, manca una poli­tica estera, una vera diplo­ma­zia ita­liana. Renzi dice che la Libia è uno «Stato fal­lito». E chi l’ha fatto fal­lire se non la guerra del 2011 voluta a tutti i costi dalla Fran­cia di Sar­kozy? Dimen­ti­cano che con quella guerra fug­gi­rono milioni di lavo­ra­tori migranti e di libici, dei quali ora un milione è in Egitto e 600mila in Tuni­sia. Voglio ricor­dare che quando gli aerei della Nato bom­bar­da­vano la Libia nel marzo del 2011, io ammo­nivo «la Libia diven­terà una nuova Soma­lia». È quello che è acca­duto. Ora va coin­volto, in una fun­zione di media­zione inter­na­zio­nale l’alta per­so­na­lità di Romano Prodi, già inviato spe­ciale nel Sahel dell’Onu, che ha espresso più volte la sua con­tra­rietà alla solu­zione mili­tare, e che è visto come inter­lo­cu­tore anche dalle attuali auto­rità di Tri­poli. Subito, prima che sia troppo tardi.
17 febbraio 2015

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