Oggi spezziamo il ritmo e usciamo dal terreno puramente politico per parlare di calcio professionista.
Io non lo seguo più da una vita, e non starò a perdere tempo nel discutere la progressiva trasformazione di questo sport nello squallido carrozzone che vediamo oggi: ci hanno già speso fiumi di inchiostro persone molto più competenti e titolate di me.
Vorrei solo proporre due recentissime eccezioni: Zampagna e Sarri. Zampagna è uscito, per scelta, dai palcoscenici che contano nel 2011, mentre la brevissima intervista riportata sotto con la dichiarazione di Sarri è del 2014.
Se esiste ancora una dimensione in cui conta la sfera morale -parola questa che oggi sembra quasi un tabù a rovescio, forse anche attraverso una certa confusione col moralismo (che ne è una riproposizione manieristica, una presentazione della morale in farsa, per parafrasare Marx), mentre è e rimane elemento costitutivo della peculiarità esperienziale del sapiens sapiens-, questa dimensione secondo me è lo sport: uno sport senza princìpi e valori non è sport ma altro da esso, cioè quello che esiste oggi nelle realtà professioniste e non solo (fanno piacevole eccezione le esperienze dal basso di sport popolare e l'impegno e la passione di tanti nei tornei amatoriali).
E, sia Zampagna che Sarri, ci permettono di vedere ancora barlumi di umanità in questo carrozzone.
da http://zonacesarini.net/2015/02/03/riccardo-zampagna-acciaio-rovesciate-e-pugni-chiusi/
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Io non lo seguo più da una vita, e non starò a perdere tempo nel discutere la progressiva trasformazione di questo sport nello squallido carrozzone che vediamo oggi: ci hanno già speso fiumi di inchiostro persone molto più competenti e titolate di me.
Vorrei solo proporre due recentissime eccezioni: Zampagna e Sarri. Zampagna è uscito, per scelta, dai palcoscenici che contano nel 2011, mentre la brevissima intervista riportata sotto con la dichiarazione di Sarri è del 2014.
Se esiste ancora una dimensione in cui conta la sfera morale -parola questa che oggi sembra quasi un tabù a rovescio, forse anche attraverso una certa confusione col moralismo (che ne è una riproposizione manieristica, una presentazione della morale in farsa, per parafrasare Marx), mentre è e rimane elemento costitutivo della peculiarità esperienziale del sapiens sapiens-, questa dimensione secondo me è lo sport: uno sport senza princìpi e valori non è sport ma altro da esso, cioè quello che esiste oggi nelle realtà professioniste e non solo (fanno piacevole eccezione le esperienze dal basso di sport popolare e l'impegno e la passione di tanti nei tornei amatoriali).
E, sia Zampagna che Sarri, ci permettono di vedere ancora barlumi di umanità in questo carrozzone.
da http://zonacesarini.net/2015/02/03/riccardo-zampagna-acciaio-rovesciate-e-pugni-chiusi/
Ettore Zampagna è un operaio. Uno dei tanti a Terni, dove la vita è scandita dalle sirene delle Acciaierie; è così da prima della guerra e non c’è ragione di pensare che le cose possano cambiare. Si lavora fino a riempirsi i polmoni d’amianto, e quando si è troppo vecchi arriva qualcuno a dare il cambio; magari un figlio, che tanto gli orizzonti uno non se li sceglie. Negli anni ’80, per la famiglia Zampagna, l’orizzonte è la ciminiera di una fabbrica.
Riccardo, il figlio di Ettore, sa già cosa lo aspetta: nella Manchester d’Italia si fanno i turni in catena di montaggio, si esce con la ragazza il sabato e magari si va in Curva Est la domenica. Terni sembra un inno alla working class, che farà pure impazzire i fan del britpop, ma non chi ci vive tutti i giorni.
“Figliolo, non andare mai a lavorare alle Acciaierie;
lì nessuno ti darà mai la pacca sulla spalla e ti dirà bravo se fai un buon pezzo”.
«Ecco, io ho sempre giocato per ricevere quella pacca e sentirmi dire: Bravo Riccardo.
I soldi vengono molto dopo tutto questo».
lì nessuno ti darà mai la pacca sulla spalla e ti dirà bravo se fai un buon pezzo”.
«Ecco, io ho sempre giocato per ricevere quella pacca e sentirmi dire: Bravo Riccardo.
I soldi vengono molto dopo tutto questo».
Riccardo gioca a pallone, e come tutti i ragazzi sogna di sfondare. Nonostante la fiducia e i sacrifici della famiglia, quando compie 20 anni si è ormai capito che il calcio è divertente, ma non dà da campare: «Guadagnavo 800 mila lire al mese come lavorante nella tappezzeria di Giampiero Riciutelli e altrettanti me ne dava il presidente dell’Amerina». Durante la settimana monta e smonta le tende; la domenica gioca in attacco. Ha ottime doti atletiche, ma non è un fenomeno, anche perché la scuola calcio non l’ha fatta: «Calciatori si nasce e io non ci sono nato. Il calciatore cresce passando attraverso i settori giovanili, con gente che gli spiega cosa fare». Probabilmente, non sarebbe servito granché: sarà istinto o innata sfiducia nell’autorità, ma Zampagna in campo fa di testa sua.
Nel 1996 lo contatta la Pontevecchio, società di Ponte San Giovanni che milita in Interregionale: il padre gli compra una Fiat Tipo con i soldi della pensione: «La trasformammo a metano per consumare meno […] Crescevo di categoria ma ci rimettevo economicamente, 100 mila lire al mese in meno come calciatore e gli spostamenti a mie spese». Zampagna si accorda con il titolare della tappezzeria, che ne asseconda la passione: «Lavoravo dalle 6 alle 13, poi mangiavo un panino guidando verso Perugia». Se è stanco, in campo non si vede: in 22 presenze segna 13 gol. Tanti, tantissimi in quei campi fangosi dove l’erba è un’utopia e i difensori non fanno tanti complimenti.
Ormai, tutto lascia credere che Riccardo Zampagna resterà un onesto bomber di periferia, di quelli che non campano con il pallone; finché un osservatore non invia a Trieste una videocassetta con le sue giocate. La Triestina è una nobile decaduta, appena tornata in Serie C2 dopo il fallimento; ha bisogno di piedi buoni, più che di nomi altisonanti. Il ds Walter Sabatini si guarda il VHS, e il tappezziere 22enne si ritrova di colpo professionista.
Trieste, poi Arezzo, Catania e infine Perugia, dove arriva con una dubbia operazione della famiglia Gaucci che coinvolge anche Baiocco, Tedesco ed Olive. Neanche il tempo di esordire in A che Zampagna torna a sgomitare nel campionato cadetto: Cosenza, poi Siena (10) e il boom nel 2002 a Messina (17). Nell’estate 2003 la Ternana diventa comproprietaria del suo cartellino, e Riccardo Zampagna torna a casa. Il debutto in casa è proprio contro l’agguerrito Messina che a fine stagione deciderà con i rossoverdi il suo futuro.
«Quando mi hanno detto “Sarai un giocatore della Ternana”, mi sono venuti i brividi […]
Sono andato sotto la curva per togliermi la maglia.
Guardo la curva per vedere chi conoscevo, e conoscevo un po’ tutti.
Ad un certo punto, vedo mio cugino che piange».
Sono andato sotto la curva per togliermi la maglia.
Guardo la curva per vedere chi conoscevo, e conoscevo un po’ tutti.
Ad un certo punto, vedo mio cugino che piange».
L’estate successiva il Messina riscatta Zampagna, costretto ad abbandonare la sua Terni per una Serie A che mai gli era interessata così poco. Ma se proprio bisogna farlo, tanto vale presentarsi alla grande, con un pallonetto che annienta la Roma. Un cucchiaio fantastico, proprio sotto gli occhi di un certo Francesco Totti.
Dopo due anni e sedici gol, Zampagna passa all’Atalanta: visto lo storico gemellaggio, una seconda casa per chi tifa Ternana. Zampagna contribuisce a far tornare in Serie A i bergamaschi, per poi continuare a deliziarli con alcuni dei suoi gol più belli. Un pallonetto al volo contro la Lazio, una rovesciata contro la Roma e un’altra contro la Fiorentina, che gli vale il premio AIC Oscar del calcio per il miglior gol del 2007. Dopo una parentesi a Vicenza, nel 2010 passa al Sassuolo; durante una trasferta, duecento tifosi dell’Atalanta bloccano il pullman della squadra romagnola e improvvisano una festa in mezzo di strada per il loro ex bomber.
Nel 2011 passa alla Carrarese di Buffon e Lucarelli, ma dopo soli 3 mesi decide di abbandonare il calcio dei professionisti: si tessera per l’ASD Comunista “Primidellastrada” di Terni. Una presa di posizione netta; come scendere in piazzaper protestare contro gli esuberi alle Acciaierie Ternane, ora di proprietà della Thyssen: «Sfilerò in corteo. Le acciaierie mi hanno dato da mangiare».
Zampagna nel 2013 diventa allenatore del Macchie, squadra di un piccolo paese umbro: «Quasi tutti svolgono lavori umili e cacciano il cinghiale. La squadra di calcio è il vero orgoglio del paese e anche agli allenamenti c’è sempre gente che ci segue. Una volta a settimana coi dirigenti e i tifosi più fedeli ci si ritrova a mangiare il cinghiale a bordo campo. Qui si respira quell’umanità che è l’essenza del calcio vero e genuino».
Gli Zampagna sono fatti così: la semplicità prima di tutto.
E se poi la palla si alza un po’, si può sempre tentare una rovesciata.
E se poi la palla si alza un po’, si può sempre tentare una rovesciata.
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http://www.tuttomercatoweb.com/serie-a/empoli-sarri-il-tecnico-meno-pagato-le-fa-rabbia-macche-sono-fortunato-592195

Nel consueto focus annuale dellaGazzetta dello Sport è emerso che Maurizio Sarri, attuale allenatore dell'Empoli, è il tecnico della Serie A che guadagna di meno. L'allenatore campano intasca circa un decimo di quanto nella capitale guadagna Rudi Garcia, suo prossimo avversario in campionato. "Le fa rabbia? Non scherziamo: sono figlio di operai, ciò che percepisco basta e avanza - ha dichiarato Sarri ai microfoni de Il Messaggero -. Mi pagano per fare una cosa che avrei fatto la sera, dopo il lavoro e gratis. Sono fortunato".
Parole tutt'altro che banali quelle del tecnico dell'Empoli, il quale nel proseguo dell'intervista ha anche presentato la sfida contro la seconda forza dell'ultimo campionato: "In questi casi bisogna avere la follia di vincere. Altrimenti si perde due volte: in settimana e in gara. Per noi è una missione quasi impossibile, ma dobbiamo avere dentro il tarlo del risultato. E comunque c'è una cosa che non mi torna".
Parole tutt'altro che banali quelle del tecnico dell'Empoli, il quale nel proseguo dell'intervista ha anche presentato la sfida contro la seconda forza dell'ultimo campionato: "In questi casi bisogna avere la follia di vincere. Altrimenti si perde due volte: in settimana e in gara. Per noi è una missione quasi impossibile, ma dobbiamo avere dentro il tarlo del risultato. E comunque c'è una cosa che non mi torna".