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QUANDO GLI IMMIGRATI ERAVAMO NOI.

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da      http://www.nannimagazine.it/articolo/2113/emigrazione-italiana-una-storia-di-razzismo


La storia del flusso migratorio italiano, sembracoincidere con l'immagine di un vero e proprio spostamento di massa, che per cento anni ha segnato il nostro Paese e quelli di approdo. Un'escalation di partenze, che se prima del 1860 restava nebulosa nelle sue dimensione seppure già presente, da dopo questa data cominciava ad assumere i contorni quasi di un "impoverimento" del territorio italiano, tanto da impensierire i governi di allora che cominciarono infatti a monitorarlo con costanza. Un sorta di censimento che, mirava a considerare anche il conseguente deflusso di manodopera e lo spostamento di denaro che, con l'emigrazione usciva e tornava, in forma di rimesse nel nostro Paese. La consistenza dell'esodo italiano, fu elevatissima: nell'intero secolo 1876-1976 sono stati 25 milioni e 800mila gli espatri nostrani, con medie annue di 900mila persone in partenza, e tassi del 2,4 per cento ogni 12 mesi.

Contrariamente a quanto si potrebbe credere, i primi a partire furono i residenti del Nord d'Italia, che potevano contare su una situazione sociale e demografica più progredita, rispetto alle regioni del Sud dove isolamento, scarsezza di mezzi di trasporto e vie di comunicazione,  mancanza di scolarizzazione rendevano anche solo l'operazione dello spostamento pressoché impossibile. In una manciata di decenni, però, il flusso tendenziale si invertì: sul finire del secolo XIX, la quota fornita all'emigrazione complessiva dall'Italia settentrionale diminuì dall'86,7 per cento del 1876 al 49,9 per cento del 1900, a fronte di una crescita di quella del Sud e delle Isole (dal 6,6 per cento al  40,1), e dell'Italia centrale (da 6,7 al 10 per cento).

La prima fase di questo esodo di massa, non fu controllata a dovere dalle autorità, che si arrangiavano per far rispettare la sola legge esistente, la n. 5877 del 30 dicembre 1888, superficiale e puramente formale. Il provvedimento di fatto era affidato all'opera della polizia, preposta a controllare gli abusi di chi gestiva il traffico e il reclutamento di manodopera a basso costo. L'approvazione di una nuova norma e la creazione di un organo tecnico specifico per l'applicazione del provvedimento, portò ad un netto miglioramento della situazione, con l'introduzione di linee chiare, divulgazione di informazioni, una protezione sanitaria adeguata e la tutela giuridica dell'emigrazione e per l’arruolamento all'estero; capitoli che trasformarono, man mano, i flussi in un fenomeno più gestibile e monitorabile.

L'emigrazione fu in aumento nei primi anni del XX secolo, con una media annuale dal 1901 al 1913 di 626mila emigranti. Ad impennarsi soprattutto l'emigrazione dal Sud e dalle Isole, che raggiunse contorni decisamente più consistenti rispetto a quelli del Nord: (46 per cento contro 41 per cento). Chi arrivava dal Meridione, più incline a spendersi nei Paesi d'oltremare, era disposto ad accettare lavori fra i più umili: settore di più largo impiego era l'agricoltura; zona di più massiccia destinazione, gli Stati Uniti, dove si diressero, dal 1901 al 1913, oltre 3 milioni di nostri connazionali, contro i 951mila dell'Argentina e i 393mila del Brasile. Diretta in Europa, invece, l'emigrazione dell'Italia settentrionale, più altamente qualificata e, in genere temporanea. Svizzera, Germania, Austria e Francia le mete di destinazione.

Dopo una battuta d'arresto, dovuta alla Prima Guerra Mondiale, i flussi ripresero, fino a quando, dopo  il Secondo conflitto mondiale una mutata situazione sociale ed economica italiana, dovuta anche al diminuito costo dei trasporti, spinse gli emigranti ad una minore durata della permanenza all'estero. Numerosi coloro che investirono in Italia, con un grande beneficio per la Penisola, i risparmi accumulati. Molti lavoratori decisero acquistare terra e immobili. Dal 1946 al 1961 gli espatriati passarono a 4.452.200. L’Europa ne ospitò il 61,5 per cento, pari a 2.735.170 unità. Il primo Paese d’accoglienza fu la Svizzera con 1.200.170 immigrati, seguita dalla Francia con 833.719 ed il Benelux 291.427. In America si contavano 1.423.770 unità, di cui 486.551 in Argentina e, rispettivamente 250 mila unità in Canada e Stati Uniti. Fu questo il periodo in cui andarono pareggiandosi i numeri delle regioni di provenienza: in testa c'erano  Veneto, Calabria, Sicilia, Campania, Lombardia, Friuli, Abruzzo.

In poco meno di un ventennio (1961-1976), gli espatriati arrivarono a 2.995.130 a fronte di 2.405.820 rimpatri. Negli anni '70, dunque, si concluse l'esodo strutturale, che aveva caratterizzato i decenni precedenti, che passò dal 24 per cento del 1913 al 3 per cento del 1971. Tuttavia, il fenomeno proseguì con diverse connotazioni con un numero che si attestò intorno alle 100mila unità annue. Oggi, i frutti di quella migrazione massiccia e travagliata, hanno prodotto 58 milioni di "figli di immigrati" all'estero. Un'altra Italia piena di risorse.

Un'orda di selvaggi, brutti, sporchi e cattivi, da tenere a debita distanza, nei sudici ghetti delle grandi città. Dagli Stati Uniti all'Australia, passando per l'Europa, il sentimento xenofobo contro gli immigrati italiani dilagò come un fiume in piena tra la fine dell'800 e i primi anni del 1900, provocando significativi straschici fino alla metà del secolo scorso. Titoli di giornali e proclami politici, bollavano i nostri connazionali come geneticamente tendenti alla criminalità, dunque pericolosi nel complesso, per la sicurezza civile.

LA XENOFOBIA DILAGANTE VERSO GLI ITALIANI ALL'ESTERO. 
Il 1 gennaio del 1894 il New York Times scriveva: "Abbiamo all'incirca in questa città trentamila italiani, quasi tutti provenienti dalle vecchie province napoletane, dove, fino a poco tempo fa, il brigantaggio era l'industria nazionale. Non è strano che questi briganti portino con se un attaccamento per le loro attività originarie". Ad essere bersagliati, soprattutto gli italiani di origine meridionale, catalogati come "razza mediterranea" a fronte di quella "celtica" degli italiani provenienti dal Nord. I siciliani vennero censiti nel 1911 come "not white", "non bianchi". Gli appellativi precisi, che li identificavano, erano "dago" e "wop", riservati peraltro in senso dispregiativo a persone dalla pelle scura di origine portoghese, spagnola e messicana.

TROPPI ITALIANI, COSI' IL GOVERNO USA POSE UN LIMITE DI NUMERO ALL'ENTRATA NEL PAESE.
 L'intolleranza crescente verso i flussi migratori, non solo italiani, in continuo aumento all'epoca (dal 1920 al 1921 l'incremento fu di 800mila nuovi immigrati, provenienti per due terzi dall'Europa meridionale e orientale), portò la politica americana a varare, dopo la diminuzione del bisogno di manodopera, alcuni provvedimenti che ponessero un argine all'immigrazione. Il cosiddetto 'Quota Act', del 19 maggio 1921, si proponeva di mettere un freno al numero di migranti ammesso annualmente, e per nazionalità, al 3 per cento del numero dei rispettivi connazionali stabilitisi negli Stati Uniti nel 1910. Questa prima quota limitò l'emigrazione italiana a 42mila individui ammessi.

DAL 'SEMI-COLOURED' DELL'AUSTRALIA AL 'CARCAMANO' DEL BRASILE, GLI EPITETI DISPREGIATIVI DEGLI ITALIANI ALL'ESTERO. Similarmente agli Stati Uniti, il colore della pelle aveva un peso significativo anche in Australia, dove sempre i siciliani venivano considerati "semi-coloured". La forte discriminazione, portò il primo governo in carica, collegato a quello inglese, a formare una società di etnia anglo-celtica operando un programma politico definito della "White Australia". Diverso, ma non meno carico di pregiudizio, l'epiteto che gli emigranti nostrani si erano guadagnati in Brasile, dove il flusso migratorio provocò notevoli conflitti con i locali: considerati commercianti disonesti, venivano definiti "carcamano" dal gesto di calcare la mano alterando il peso misurato dalla bilancia. La maggior parte di loro, era alla ricerca di un lavoro qualsiasi, anche con paghe da fame. In pochissimi riuscivano a mettere su un'attività commerciale, che tuttavia diveniva bersaglio della follia xenofoba, che distruggeva i negozi di immigrati italiani. La miseria e la rabbia, condusse molti di loro, soprattutto negli Stati Uniti, a entrare nella cerchia della malavita locale, seminando però il pregiudizio su tutta la comunità. Contro i nostri connazionali, si scagliò l'opinione pubblica, che li considerava tutti sovversivi, anarchici, camorristi, mafiosi, assassini.

VITTIME INNOCENTI. 
I singoli fatti di cronaca, in cui capitava fossero coinvolti criminali italiani soprattutto in America, a cui la stampa dava enorme spazio e allarme, scatenavano così violente ondate di razzismo, da sfociare in più di un'occasione in linciaggi di gruppo verso innocenti o incarcerazioni e condanne a morte sommarie.

IL MASSACRO DI NEW ORLEANS. 
Uno dei più drammatici e feroci attacchi contro italiani che si ricordi, è quello del 1891 a New Orleans. Nella zona, dove molta manodopera italiana era stata impiegata nei campi di cotone, con turni massacranti per sostituire gli schiavi neri affrancati da una legge, un gruppo di  siciliani venne ritenuto responsabile, senza prove, di un omicidio. Ma la loro assoluzione a seguito di regolare processo provocò l'inferno. La popolazione locale, non soddisfatta del verdetto, si riversò in strada per un linciaggio. Una folla inferocita di 20mila persone, prelevò dal carcere gli 11 italiani e li trucidò senza pietà, per un reato che non avevano commesso. Ma mentre il presidente americano dell'epoca, Harrison, per aver osato definire il linciaggio "un'offesa contro le legge e l'umanità" rischiava l’incriminazione, i giornali tentavano di giustificare l’accaduto con la "natura" negativa degli immigrati che lì approdavano: "Il clima mite, la facilità con la quale ci si può assicurare il necessario per vivere e la natura poliglotta dei suoi abitanti hanno fatto sì che, sfortunatamente, questa parte del Paese sia stata scelta dai disoccupati e dagli emigrati appartenenti alla peggiore specie di europei: i meridionali italiani (…) Gli individui più pigri, depravati e indegni che esistano (…). Tranne i polacchi non conosciamo altre persone altrettanto indesiderabili".

IL MASSACRO DI AIGUES-MORTES. 
Il 17 agosto 1893 nove operai italiani vengono linciati a morte da una folla inferocita, nelle saline di Aigues-Mortes, in Camargue, Francia. Il massacro si consuma, dopo una violenta caccia all'italiano, da parte dei manovali francesi che provoca la morte di un numero imprecisato di emigrati piemontesi, lombardi, liguri, toscani. Il sindaco del paese, si impegna ad alimentare l'odio, cavalcando le proteste dei lavoratori locali, emanando anche atti ufficiali a sfondo razzista, che affiggerà poi anche sui muri della cittadina.

LA STORIA DI SACCO E VANZETTI. 
La vicenda giudiziaria di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti  ha ispirato film e libri. E' quella di due anarchici immigrati negli Stati Uniti che, nel 1920, arrestati, sull'onda della molta intolleranza verso gli italiani, con la falsa accusa di aver ucciso, nell'ambito di una rapina, un cassiere e una guardia dell'officina di South Braintee. Sottoposti ad un processo senza prove, i due vengono condannati a morte e uccisi sulla sedia elettrica il 23 agosto 1927, nel penitenziario di Charlestown, presso Dedham. A sentenza ormai eseguita, si scopriranno poi le prove della loro innocenza e il vero colpevole. Tuttavia, solo nel 1977 Michael Dukakis, governatore dello Stato del Massachusetts, riconosce ufficialmente gli errori commessi nel processo e riabilita completamente la memoria dei due anarchici.




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