da http://www.senzasoste.it/dintorni/neanche-il-papa-salva-piombino
Nemmeno il Papa è riuscito a scongiurare la chiusura dell’altoforno di Piombino. I lavoratori dello stabilimento Lucchini, commissariato da circa due anni, avevano inviato al Pontefice un video-appello, realizzato con l’aiuto di Klaus Davi, in cui chiedevano il suo sostegno. Ieri, papa Francesco, al termine dell’udienza generale in piazza San Pietro, è intervenuto: “Ho ricevuto un video- appello da parte degli operai della Lucchini di Piombino, ha detto, che mi ha davvero commosso. Sono rimasto triste. Siate sicuri della mia vicinanza e della mia preghiera”.L’AUTOREVOLE messaggio non fermerà, però, l’inesorabile. Questa mattina l’altoforno sarà già spento, dopo essere stato caricato “in bianco” per poter essere riavviato in venti giorni, nel caso si materializzasse un nuovo compratore. Ipotesi poco probabile e non contemplata nella bozza di Accordo di programma discussa ieri dal governo e dagli Enti locali al ministero dello Sviluppo economico. Accordo enfatizzato via Twitter da Matteo Renzi, e sottolineato con grande soddisfazione dal presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi. Dal documento, che sarà siglato oggi, emergono tre assi: la riqualificazione ambientale del sito produttivo, l’ipotesi della nuova attività del porto di Piombino e il quadro di ammortizzatori sociali previsto per i lavoratori. Dalle prime indiscrezioni, riguardo questi ultimi, sembra che tutti saranno coperti dai contratti di solidarietà (lo stabilimento conta circa 2400 addetti con 1000-1500 all’altoforno) e possibilità di rimanere in azienda. L’accordo vale circa 200 milioni di euro di cui 50 messi dal ministero dell’Ambiente e 60 dalla Regione. Ci sono poi altri fondi da trovare per il collegamento tra il porto e l’Aurelia (la bretella 398), gli incentivi per ristrutturare lo stabilimento con il forno a tecnologia Corex, co-finanziata anche dall’Unione europea, e la riqualificazione del porto per attività di smantellamento e recupero di navi in disuso. Difficile che possa arrivare al Concordia, più probabile l’ipotesi di navi messe a disposizione dalla Difesa. Stamattina i lavoratori saranno in presidio allo stabilimento e occuperanno simbolicamente l’altoforno. Rossi ha assicurato che prima di recarsi alla firma dell’Accordo si incontrerà con le Rsu.
Sabato arriva Beppe Grillo, ma il futuro resta un’incognita come per tutta la siderurgia. I problemi sono noti, a partire dallo stabilimento dell’Ilva di Taranto. Dopo i vari decreti governativi e l’ultimo commissariamento dello stabilimento, Enrico Bondi si trova di fronte al problema immenso della riqualificazione del sito. Come previsto dagli ambientalisti e dalla stessa Fiom, il costo si aggira intorno ai 4,5 miliardi e non all’1,5 ipotizzato dal commissario. Impresa quasi disperata in assenza di fondi. Anche perché l’ipotesi di formare una cordata di imprenditori sembra inibita dal mandato fornito dal governo allo stesso Bondi. Anche per questo il ministero dell’Ambiente non ha ancora pubblicato il piano ambientale per Taranto che darebbe al commissario solo 60 giorni per mettere a punto il progetto di risanamento. Intanto circa 3.500 operai su quasi 12 mila dipendenti, sono in solidarietà mentre in azienda crescono i timori che vengano a mancare i soldi non solo per pagare i fornitori ma anche i salari dei lavoratori.
LA SITUAZIONE di crisi è evidente anche dallo stallo che si registra a Terni dove le Acciaierie speciali sono tornate di proprietà della ThyssenKrupp. La Fiom, però, denuncia l’assenza di un vero piano industriale mentre i circa 2.300 lavoratori vivono alla giornata. L’unico sito in cui qualcosa sembra muoversi è l’altro stabilimento della Lucchini, quello di Trieste, dove l’italiano Arvedi ha manifestato la disponibilità a rilevare l’attività. Ma anche in quel caso pesa ancora l’incognita del risanamento ambientale che potrebbe essere molto oneroso e per il quale si chiedono impegni pubblici.
“Le responsabilità dei governi italiani sono lampanti” spiega al Fatto il responsabile Fiom della siderurgia, Rosario Rappa. “Il governo Monti aveva inaugurato un ‘tavolo’ ma poi non è successo nulla; poi c’è stato Letta e anche qui agli impegni non è stato dato seguito. Ora c’è Renzi e la situazione è sempre la stessa: si affrontano le vertenze una a una senza una politica industriale”. ANCHE il “piano d’azione” europeo promosso dal Commissario Ue, Antonio Tajani, non ha prodotto nessun risultato tranne quello di ipotizzare finanziamenti della Banca europea degli investimenti. Eppure l’Italia è ancora la seconda potenza siderurgica europea e la undicesima al mondo. Ma la riorganizzazione produttiva è in atto sia a livello europeo che italiano. In Europa sono in molti a sperare che le crisi di Ilva e Lucchini possano dare fiato alle aziende meglio piazzate, in primo luogo quelle tedesche. Ma anche in Italia, gli imprenditori del nord stanno aspettando che prima o poi la famiglia Riva esca di scena. A quel punto si aprirebbe una nuova partita, con nuovi volumi produttivi, più contenuti di quelli attuali, ma comunque adeguati a tenere in piedi un polo italiano dell’acciaio. “Lo scenario – conclude Rappa – sarebbe quello di una siderurgia italiana impoverita, di un gruppo di imprenditori che si salva e di un’Europa dell’ac – ciaio che può brindare a spese dell’Italia”.
Salvatore Cannavò
tratto da Il Fatto Quotidiano del 24 aprile 2014
http://mentiinformatiche.com/2014/04/neanche-il-papa-salva-piombino.html

Sabato arriva Beppe Grillo, ma il futuro resta un’incognita come per tutta la siderurgia. I problemi sono noti, a partire dallo stabilimento dell’Ilva di Taranto. Dopo i vari decreti governativi e l’ultimo commissariamento dello stabilimento, Enrico Bondi si trova di fronte al problema immenso della riqualificazione del sito. Come previsto dagli ambientalisti e dalla stessa Fiom, il costo si aggira intorno ai 4,5 miliardi e non all’1,5 ipotizzato dal commissario. Impresa quasi disperata in assenza di fondi. Anche perché l’ipotesi di formare una cordata di imprenditori sembra inibita dal mandato fornito dal governo allo stesso Bondi. Anche per questo il ministero dell’Ambiente non ha ancora pubblicato il piano ambientale per Taranto che darebbe al commissario solo 60 giorni per mettere a punto il progetto di risanamento. Intanto circa 3.500 operai su quasi 12 mila dipendenti, sono in solidarietà mentre in azienda crescono i timori che vengano a mancare i soldi non solo per pagare i fornitori ma anche i salari dei lavoratori.
LA SITUAZIONE di crisi è evidente anche dallo stallo che si registra a Terni dove le Acciaierie speciali sono tornate di proprietà della ThyssenKrupp. La Fiom, però, denuncia l’assenza di un vero piano industriale mentre i circa 2.300 lavoratori vivono alla giornata. L’unico sito in cui qualcosa sembra muoversi è l’altro stabilimento della Lucchini, quello di Trieste, dove l’italiano Arvedi ha manifestato la disponibilità a rilevare l’attività. Ma anche in quel caso pesa ancora l’incognita del risanamento ambientale che potrebbe essere molto oneroso e per il quale si chiedono impegni pubblici.
“Le responsabilità dei governi italiani sono lampanti” spiega al Fatto il responsabile Fiom della siderurgia, Rosario Rappa. “Il governo Monti aveva inaugurato un ‘tavolo’ ma poi non è successo nulla; poi c’è stato Letta e anche qui agli impegni non è stato dato seguito. Ora c’è Renzi e la situazione è sempre la stessa: si affrontano le vertenze una a una senza una politica industriale”. ANCHE il “piano d’azione” europeo promosso dal Commissario Ue, Antonio Tajani, non ha prodotto nessun risultato tranne quello di ipotizzare finanziamenti della Banca europea degli investimenti. Eppure l’Italia è ancora la seconda potenza siderurgica europea e la undicesima al mondo. Ma la riorganizzazione produttiva è in atto sia a livello europeo che italiano. In Europa sono in molti a sperare che le crisi di Ilva e Lucchini possano dare fiato alle aziende meglio piazzate, in primo luogo quelle tedesche. Ma anche in Italia, gli imprenditori del nord stanno aspettando che prima o poi la famiglia Riva esca di scena. A quel punto si aprirebbe una nuova partita, con nuovi volumi produttivi, più contenuti di quelli attuali, ma comunque adeguati a tenere in piedi un polo italiano dell’acciaio. “Lo scenario – conclude Rappa – sarebbe quello di una siderurgia italiana impoverita, di un gruppo di imprenditori che si salva e di un’Europa dell’ac – ciaio che può brindare a spese dell’Italia”.
Salvatore Cannavò
tratto da Il Fatto Quotidiano del 24 aprile 2014
http://mentiinformatiche.com/2014/04/neanche-il-papa-salva-piombino.html