Inserisco due articoli sulla questione Chrysler-Fiat, così da avere un quadro discretamente articolato.
da http://www.senzasoste.it/lavoro-capitale/fiat-chrysler-per-i-tedeschi-saltera-l-alfa-romeo
![Fiat-Chrysler. Per i tedeschi salterà l'Alfa Romeo]()
da http://www.senzasoste.it/lavoro-capitale/fiat-chrysler-per-i-tedeschi-saltera-l-alfa-romeo

Tutti a benedire Marchionne per aver "conquistato" Chrysler, la borsa premia il titolo Fiat con un balzo del 16% (dopo mesi molto grami, però). Dalla Germania invece di sperticarsi in cori elogiativi si preferisce analizzare la strategia industriale di Fiat, ovvero la sua (scarsa) capacità di offrire nuovi modelli sul mercato.
E' il risultato di una scelta fatta al momento dell'esplosione della crisi: non investire in nuovi prodotti fin quando non fosse finita. Gli altri produttori hanno fatto l'opposto e ora guadagnano posizioni nelle classifiche di vendita in tutti i segmenti, erodendo quel non molto che Fiat conservava.
Soprattutto, fanno notare i tedeschi dello Speigel, Marchionne si è rivelato scarso proprio nel settore più importante al momento in Europa: il segmento delle sportive. Nel lusso nessuno dubita che il gruppo Fiat sia "competitivo" (Ferrari, Maserati, Jeep hanno ancora molto appel sul mercato globale), ma nel segmento sport l'Alfa Romeo è out almeno dei qualche anno. Per rilanciarsi servirebbero investimenti imponenti. Ma su questo fronte Sergio l'amerikano (o il canadese, di passaporto) non ci vuol sentire. E quindi i tedeschi prevedono: alla fine l'Alfa Romeo la darai a noi, fronte Volkswagen...
tratto da http://www.contropiano.org
3 gennaio 2013
Ecco l'analisi dello Spiegel.
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Acquisizione completa: il deal della Fiat mette in pericolo in futuro di Alfa Romeo
dal redattore del manager-magazin.de Wilfried Eckl-Dorna
Ancora una volta Sergio Marchionne ha portato in porto un grosso affare. Per un importo comparativamente piccolo, ora Fiat acquisisce completamente la sua controllata USA Chrysler. Ma proprio per il marchio preferito di Marchionne, l’Alfa Romeo, l’acquisizione potrebbe avere brutte conseguenze.
Amburgo – Preferisce portare maglioni, volentieri anche una barba di tre giorni e di rado gli mancano parole chiare: Sergio Marchionne da anni cura amorevolmente la sua fama di enfant terrible tra i manager del settore auto. Ma l’italo-canadese, che ha iniziato la sua carriera professionale come revisore di bilanci, è più noto come uomo dei numeri che delle macchine.
Giusto a inizio anno ancora una volta Marchionne fa mostra di sé come freddo stratega – e puntualmente per l’avvio del nuovo anno presenta il suo ultimo colpo di mano: per complessivamente 4,35 miliardi di dollari ora la Fiat incorpora quel 41,5 % di Chrysler, che fino ad ora deteneva il fondo sindacale VEBA. Con questo ora gli italiani acquisiscono completamente Chrysler, il terzo produttore automobilistico USA.
Gli azionisti Fiat festeggiano l’affare con un aumento della quotazione fino al 16%. E con il suo piano audace di fare di due produttori automobilistici deboli un unico player più forte, Marchionne è avanzato di un bel pezzo. Ma proprio per il marchio Fiat di auto sportive Alfa Romeo, che Marchionne vuole rianimare, la fusione potrebbe avere brutte conseguenze.
Il tiro alla fune durato mesi è costato molte energie
A Marchionne che di solito è un così freddo calcolatore, da molto tempo viene attribuito un debole per Alfa Romeo – quel marchio di auto sportive che da anni in Fiat è destinato ad un posto di nicchia. Ma intorno ai bolidi tradizionalmente rossi provenienti dall’Italia c’è molta, molta calma. Attualmente Alfa offre appena due modelli: l’utilitaria Mito, la compatta Giulietta. La portatrice di speranza 4C presentata di recente, un’auto sportiva leggera a motore di media cilindrata, arriverà ai rivenditori solo quest‘anno.
La conseguenza: lo scorso anno secondo gli esperti a livello mondiale l’Alfa è rimasta ben al di sotto delle 100.000 unità, per la prima volta dal 1969. Ora Marchionne vuole rianimare con una spesa miliardaria il marchio dal nome altisonante, la cui offerta però fino ad ora era magra. Marchionne vuole ravvivare anche il marchio chiave Fiat con nuovi prodotti.
Ma la rianimazione dell‘Alfa Romeo sarà una missione complicata. Perché da quando Marchionne nel 2004 ha preso il timone della Fiat, Alfa non ha mai fatto utili. Gli esperti si aspettano che Fiat dovrà investire fino a nove miliardi per rimettere in pista l‘Alfa.
Jürgen Pieper, analista del settore auto della banca Metzler, guarda con scetticismo alle ambizioni di Marchionne per l‘Alfa. "I punti interrogativi sono diventati più grandi rispetto alle possibilità di Marchionne di rimettere in sesto l‘Alfa ", afferma. L’italo-canadese è certamente un ottimo stratega, ma fino ad ora non ha mostrato di avere un gran fiuto per le auto di fascia alta. Ma ora Chrysler sarà al vertice della lista delle priorità della Fiat – e appunto non più l‘Alfa Romeo.
Ma la rivitalizzazione dell’Alfa avrebbe bisogno della totale attenzione del capo, dice Pieper. Perché la pressione sul segmento chiave dell’Alfa di auto sportive sotto i 50.000 Euro, nei prossimi anni salirà in modo netto. Porsche a breve dovrebbe offrire una quattro porte più piccola della Panamera, anche BMW attraverso la collaborazione con Toyota punta sul segmento. Anche Audi e Mercedes incalzano la nicchia delle auto sportive con nuovi modelli più a buon mercato.
Interesse rispetto ad Alfa Romeo - VW aspetta con calma
Non resta certo molto posto per un manufatto italiano del genere dell’Alfa. "Alfa dovrebbe prendere in mano molto denaro. Ma non ce l‘ha ", dice Pieper. Inoltre Marchionne è minacciato anche da un problema con Chrysler che fino ad ora è stata la sua cash-cow. Perché nel 2014 il mercato americano dovrebbe ancora avere una crescita significativa, ma per gli anni successivi le prognosi sono piuttosto contenute.
Ma i margini di Chrysler sono appena la metà di quelli dei suoi concorrenti USA. E quindi Chrysler tra uno o due anni probabilmente non porterà più utili, ma perdite. E se si verifica questo, i soldi per investimenti su Alfa mancheranno a maggior ragione.
Per questo Pieper si aspetta che Fiat tra qualche anno potrebbe vendere il marchio preferito di Marchionne – anche se per ora il grande Sergio si oppone ancora con veemenza ad un simile passo. Ma anche Marchionne non sarà a capo della Fiat in eterno e il suo successore potrebbe valutare diversamente la questione Alfa.
Potrebbe essere che il capo del Consiglio di Sorveglianza della VW, Ferdinand Piëch, che da anni proclama il suo interesse per il marchio italiano, non debba aspettare ancora per molto.
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L’accordo tra il gruppo Fiat e il sindacato Usa ha suscitato l’entusiasmo nei media italiani, del resto facili da accendersi per l’impresa piemontese, dati i legami abbastanza stretti che corrono da sempre tra di essa e i nostri quotidiani più importanti. Al coro si sono uniti i soliti sindacalisti Cisl e Uil, nonché ovviamente qualche rappresentante del governo. Sintetizzano tale reazione due titoli apparsi su Il Sole 24 Ore; vi si parla da una parte di «successo del sistema Italia», mentre dall’altra si afferma che «vince l’abilità negoziale del manager». Ci permettiamo di dissentire da ambedue i concetti espressi dal quotidiano della Confindustria.
Il «successo del sistema Italia» appare del tutto relativo se consideriamo come la percentuale di italianità del gruppo tenda ormai ai minimi. Intanto, già da tempo, un pezzo importante del gruppo, la Fiat Industrial, con i suoi camion, i suoi trattori, le sue macchine movimento terra, veleggia da un paradiso fiscale all’altro e l’Italia appare l’ultima delle sue preoccupazioni.
Ora tocca all’auto. Quasi ovviamente, il quartier generale del raggruppamento Fiat-Chrysler sarà trasferito negli Stati Uniti e rischiamo quindi di perdere qualche migliaia di posti di lavoro a Torino. Del resto, le vendite e la produzione in Italia (grazie anche alle scelte fatte a suo tempo dal management) rappresentano ormai sono una parte molto minoritaria di quelle mondiali del gruppo, mentre è già annunciato che il titolo sarà quotato principalmente alla borsa di New York.
Per far digerire meglio la pillola all’opinione pubblica del nostro paese il management confermerà per l’Italia, almeno speriamo, un po’ di investimenti per rafforzarvi la produzione di alcuni modelli; attendiamo con apprensione gli annunci ufficiali in proposito.
Il governo approfitterà della novità per chiedere almeno notizie sul destino vero di Mirafiori e di Cassino, come qualche persona assennata sta chiedendo? O addirittura per sapere quale sarà il futuro di tutti gli stabilimenti italiani? Mah, quelli sono occupati in ben più importanti faccende.
Comunque, per quanto riguarda le attività produttive, la fusione con Chrysler dovrebbe permettere alla Fiat, oltre che di sviluppare un po’ di sinergie produttive, di mettere le mani sul tesoretto finanziario dell’azienda Usa e di trovare quindi, senza esagerare con l’Italia, un po’ di soldi per portare avanti qualche investimento anche qui da noi.
Va peraltro ricordato come la struttura finanziaria del nuovo gruppo non appaia, a detta degli esperti, come molto brillante e in ogni caso essa sembra essere peggiore di quella dei suoi principali concorrenti, con l’esclusione forse della Citroen-Peugeot, che però si sta accasando con lo stato francese da una parte e con i produttori cinesi della Dongfeng dall’altra.
Più che di un successo del sistema Italia si potrebbe parlare di un successo degli azionisti, guidati dal pirotecnico Lapo Elkann, clone di Marchionne; alla notizia della fusione i titoli del Lingotto sono subito saliti in misura rilevante. Anche l’amministratore delegato troverà il suo tornaconto nella faccenda, perché potrà consolidare da noi la fama di manager miracolo e vedere anche aumentati i suoi bonus di fine anno.
Ci sia permesso di esprimere peraltro solo qualche dubbio sulla presunta abilità negoziale di Marchionne. Il sindacato statunitense aveva chiesto 5 miliardi di dollari per concludere l’affare, mentre Marchionne aveva dichiarato con sdegno che il prezzo giusto era di soli 2 miliardi. Ora scopriamo che la Veba ha ottenuto 4,35 miliardi; si tratta di una cifra molto più vicina alle richieste statunitensi che all’offerta italiana.
Di positivo per Torino c’è il fatto che la parte più importante dell’esborso per l’acquisto del 41,5% della Chrysler verrà sostenuto dalla stessa casa americana, mentre l’azienda di Torino dovrà pagare soltanto 1,75 miliardi di dollari e non sarebbe obbligata, almeno nell’immediato, a dover ricorrere ad un aumento di capitale, scelta peraltro probabilmente ineludibile tra qualche tempo.
Con la fusione si costituisce il settimo gruppo automobilistico mondiale, che avrà comunque molte difficoltà a lottare con i veri protagonisti del settore.
Lo stesso Marchionne aveva dichiarato alcuni anni fa che per stare adeguatamente sul mercato bisognava produrre almeno sei milioni di vetture, ma nel 2013 la Fiat-Chrysler ne avrà consegnate forse poco più di quattro milioni.
A livello della situazione sul terreno il gruppo ha dei punti di forza commerciali in Brasile, con una posizione però sempre più insidiata dalla concorrenza, negli Stati Uniti, grazie peraltro anche alla forte ripresa del mercato locale negli ultimi anni (cosa succederà quando il mercato si fermerà?), in Italia. Il resto del quadro non appare come molto brillante. Negli altri paesi europei ormai le sue quote di mercato sono minuscole, mentre esso non esiste quasi in Asia, l’area ormai più importante del mondo per il settore e neanche in Russia, dove le previsioni per i prossimi anni indicano che tale mercato diventerà il primo in Europa, scavalcando la Germania.
In Cina, ormai il paese guida per il settore, dopo due false partenze il gruppo sta avviando ora le sue attività produttive con molta fatica e, se tutto va bene, fra qualche anno esso avrà l’1% di quota di mercato; una meraviglia. In Russia si attende ancora l’avvio operativo della produzione di auto, che appare legata all’accordo con qualche potentato locale che ancora non sembra arrivare, mentre per il momento si dovrà limitare a produrre qualche Ducato.
Per quanto riguarda poi la gamma delle produzioni, nella nebbia delle rare e confuse dichiarazioni del management, sembra possibile negli ultimi tempi individuare una strategia ormai relativamente definita, anche se non in tutti i suoi aspetti.
Nella fascia alta del mercato, si profila, oltre alla presenza della Ferrari, quella della Maserati e forse anche dell’Alfa Romeo, marchio quest’ultimo di cui però non si conoscono bene i possibili destini. Ma la produzione annunciata per i prossimi anni per la stessa Maserati, a livello di 50.000 unità all’anno, pur rilevante e sicuramente da perseguire, appare alla fine modesta, mentre le varie Mercedes, BMW, Audi, veleggiano ormai sui milioni di unità.
Nella fascia più bassa, abbiamo dei modelli di successo quali la 500 e la Panda, di cui si cerca di tirar fuori tutte le possibili versioni e mirando a mantenere i prezzi a livello sostenuto. Ma poi c’è il vuoto, che forse sarà colmato molto in parte nel 2014 con la nuova versione della Punto; troppo poco e molto tardi.
Nella fascia mediana, ci sono i prodotti della Chrysler, che è abbastanza brava però a vendere suv e pick-up, mentre fa più fatica con le berline di fascia media e media-bassa. È questo un altro punto debole rilevante della strategia di prodotto del gruppo.
Alla fine, se la Fiat-Chrysler pretende di essere tra i protagonisti del mercato mondiale, sembra evidente che è difficile che possa farcela da sola; essa, a nostro parere, dovrebbe sviluppare un’alleanza con un altro produttore che, oltre ad accrescere i volumi complessivi, copra perlomeno i suoi buchi in Asia e nella fascia delle berline medie e che sia inoltre ben fornito finanziariamente. Altrimenti, la stessa sopravvivenza del gruppo potrebbe essere messa in discussione nei prossimi anni.
Il 2014 si presenta come probabilmente molto movimentato per i lavoratori del gruppo