Dal momento che fra tre giorni avremo il magazine di Capodanno, penso che sia bene per questa domenica uscire con le consuete notizie.
Qua si parla di De Magistris e della sua gestione a Napoli.
Non sono molto informato -anche se Antonio Musella, compagno autore di Il paese dei veleni, ci diceva che il problema dei rifiuti urbani non è molto grave rispetto alle discariche industriali inquinanti- ma sembra proprio che il miracolo De Magistris non sia avvenuto.
Sarebbe bello sentire persone, come Transit, che a Napoli ci vivono per stare meglio sugli argomenti, ma quel che io penso è semplice e legato al problema del potere: i sindaci possono fare molto, ma non tutto, soprattutto se non hanno una rete forte ed organizzata; ma, anche se questa ci fosse, rimane ineludibile il problema del potere politico centrale. Solo attraverso esso è possibile attaccare padroni, rentiers, leggi europee strozzaeconomia e operare espropri di stabilimenti indegni...il resto -la democrazia dal basso, la partecipazione civile, la sinergia con la base, le soggettività, le moltitudini ecc...- sono chiacchiere che mi ricordano quelle dei peggiori epigoni nostrani dello zapatismo.
da
http://temi.repubblica.it/micromega-online/scassanapoli/
Dal problema irrisolto della monnezza alla mancata democrazia partecipativa, passando per i tagli alle politiche sociali, gli scandali familiari e il suo protagonismo sui social network. Il consenso di de Magistris è a picco, della sua rivoluzione arancione nemmeno l’ombra. E dal varo della giunta a oggi sono cambiati dieci assessori su dodici.
di Giuseppe Manzo e Ciro Pellegrino, da MicroMega 8/2013
Nella città del sole la luce di un avvenire rivoluzionario, color arancio, si vede ormai solo da un ufficio, al secondo piano del borbonico palazzo San Giacomo. Chi lo abita oggi, infatti, sembra godere di una prospettiva diversa rispetto ai suoi predecessori: un tempo, sotto quello stesso balcone – lo raccontava Maurizio Valenzi (primo sindaco comunista di Napoli, in carica dal 1975 al 1983), si affollavano questuanti e manifestanti. Ora, invece, richieste e lamentele all’attuale sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, viaggiano per lo più attraverso i social network e la posta elettronica. Certo, i cortei non sono spariti: schiamazzi, striscioni e volantini in piazza del Municipio sono all’ordine del giorno. Si alternano disoccupati organizzati, lavoratori di aziende municipalizzate in crisi, operatori sociali senza stipendio, dipendenti comunali col contratto in scadenza, poveri senza un tetto. Ma da quelle stanze al secondo piano del municipio, da dove si sarebbe dovuto governare il cambiamento e invece si è finiti col mettere pezze ai buchi – anzi alle voragini – nei conti pubblici, l’arancione si vede ancora. Forse. Anche se la città è sempre più critica e distante. Anche se il sindaco che voleva «scassare» sembra essersi arroccato. Anche se dall’insediamento, il primo giugno 2011, il consenso di quello che doveva essere il leader del cambiamento della terza città d’Italia e protagonista di un nuovo laboratorio politico meridionale, è andato via via assottigliandosi, e sta ora appuntito, aguzzo, agitato come l’asta di una delle bandiere che sventolano sulla piazza.
Quattro dati: inizialmente la maggioranza che sosteneva Luigi de Magistris era blindata e col primo cittadino – grazie alla decisione di non apparentarsi con nessun altro partito al secondo turno delle amministrative – erano schierati ventinove consiglieri comunali sui complessivi quarantotto. In due anni e mezzo si sono ridotti a ventuno. E oggi per alcuni atti fondamentali come le manovre di bilancio, risulta provvidenziale in aula l’appoggio dei «cespugli» di centro. Secondo dato: dal varo della giunta a oggi sono cambiati dieci assessori su dodici. Alcuni sono andati via sbattendo la porta, altri, invece, sono stati dimissionati per vari motivi. La quasi totalità dei fuoriusciti non ha più rapporti cordiali con l’ex pubblico ministero. E proprio questa conflittualità con la squadra di governo porta al terzo dato: Luigi de Magistris è il sindaco di una metropoli italiana col maggior numero di deleghe da gestire. Ne ha diciotto, tra quelle sue e quelle acquisite ad interim. È capo della giunta della terza città d’Italia e al tempo stesso assessore alla Mobilità, alla Sicurezza, alla Polizia municipale, allo Sport, alla Sanità, ai Fondi europei, agli Eventi internazionali, al Trasporto pubblico, alle Politiche anticorruzione, ai Rapporti con il consiglio comunale e le municipalità e infine alla Promozione della pace e alla Difesa e attuazione della Costituzione. Infine, l’ultimo aspetto: considerato outsider senza possibilità, tramutatosi in sorprendente macchina di consenso al momento delle elezioni e poi eletto, trionfante, trascinato in municipio da fedelissimi che intonavano Bella ciao, l’uomo con la bandana arancione, forte di un appoggio vasto e trasversale, è oggi crollato nei sondaggi di gradimento. L’ultimo in ordine di tempo, quello di Datamedia, rileva che ha perso un ulteriore 3,7 per cento dei consensi rispetto all’indagine precedente, piazzandosi in ultima posizione (nono) nella classifica dei sindaci di grandi comuni italiani, con il 49,5 per cento: un crollo di dieci punti in nove mesi. E così, colui che era riuscito a mettere insieme e convincere forze molto diverse tra loro, i giovani dei centri sociali e i delusi del Partito democratico e di Sinistra ecologia e libertà, l’attivismo sindacale di base e gli intellettuali dell’assise di palazzo Marigliano e dell’Istituto studi filosofici di palazzo Serra di Cassano, ma anche i moderati di area Udc e chi, al primo turno, aveva votato Popolo delle libertà, oggi si ritrova a non far più breccia nei loro cuori.
È stata la «luna di miele» più breve nella storia della politica cittadina dall’introduzione dell’elezione diretta del sindaco.
Democrazia partecipativa: una promessa mancata
L’asticella delle promesse, piazzata molto in alto, ha nei fatti reso impossibile il salto verso quella «rivoluzione» prospettata in campagna elettorale. Il fallimento della democrazia partecipativa è alla base del malcontento di quei movimenti di donne e uomini che non riconoscono più nell’ex europarlamentare dell’Italia dei valori un interlocutore credibile. Il coinvolgimento dei cittadini in tutte le decisioni era stata una naturale conseguenza per come erano maturate candidatura e successiva elezione: Luigi de Magistris aveva dunque individuato in questa modalità una carta vincente per reggere un’amministrazione nata fuori dai convenzionali schemi di partito. «Dopo il laboratorio Puglia, l’Italia guarderà al laboratorio Napoli per la partecipazione dei cittadini»: questo, nel luglio 2011, era l’auspicio dell’ex assessore ai Beni comuni Alberto Lucarelli, professore di Diritto pubblico alla Federico II e tra gli estensori dei quesiti per il referendum sull’acqua pubblica, uscito dalla giunta per candidarsi con Rivoluzione civile e oggi componente dell’Osservatorio comunale sui beni comuni. Appena insediata la giunta, nell’estate di quell’anno, iniziò il percorso di partecipazione attiva con assemblee nelle periferie e nel borbonico Albergo dei poveri, affollate da associazioni, comitati e movimenti. Bisognava redigere la «Costituente dei beni comuni». La fase è durata poco più di un mese. Poi, il nulla. «Le decisioni verranno concordate con la popolazione e messe in atto in modo risoluto», ribadì il sindaco, lanciando sul sito internet istituzionale dell’ente i mercoledì aperti al ricevimento dei cittadini, appuntamento finito nel dimenticatoio in brevissimo tempo.
Tuttavia il rapporto con movimenti, comitati e associazionismo non si è incrinato solo per l’inconsistenza di un assessorato «alle assemblee di popolo», bensì su una serie di vicende specifiche. La prima spaccatura profonda si creò dopo lo sgombero di un centinaio di migranti da un deposito comunale in periferia, luogo individuato quale sito temporaneo di stoccaggio della spazzatura da spedire all’estero. Poi l’inasprimento della lotta ai venditori ambulanti abusivi, molti dei quali immigrati, e, nella zona della stazione centrale, la chiusura dei mercatini multietnici. Le associazioni degli immigrati sono state le prime in assoluto a manifestare a palazzo San Giacomo. La questione, al di là degli episodi specifici, nascondeva in realtà un conflitto identitario più profondo: quella di Luigi de Magistris è la giunta della tolleranza o la giunta della tolleranza zero? All’inizio, in squadra, l’ex pm di Catanzaro aveva un altro magistrato, Giuseppe Narducci, pubblico ministero anticamorra nominato assessore alla Sicurezza. E poi, due carabinieri: il generale Luigi Sementa, all’epoca comandante della Polizia municipale, e il colonnello Attilio Auricchio, attuale capo di gabinetto. Incapace di trovare una sintesi tra le istanze sociali e quelle legalitarie, il sindaco si è trovato più volte al centro dello scontro politico (e a mezzo stampa) tra i suoi assessori mossi da idee profondamente diverse.
Il conflitto tra diverse visioni, lasciato senza mediazione, si è riproposto secondo uno schema identico anche sul fronte rifiuti. Da lì è venuta fuori la sconfitta più grande per Luigi de Magistris nel suo rapporto con la domanda di partecipazione dei movimenti. Se da europarlamentare egli era stato tra i primi a schierarsi contro l’apertura della discarica di Chiaiano tanto da instaurare un rapporto molto solido con i comitati di lotta, da sindaco è poi entrato in collisione proprio con queste realtà. La nomina alla presidenza di Asia, azienda municipalizzata ambientale, di Raphael Rossi, manager torinese noto per aver denunciato la corruzione nella pubblica amministrazione, aveva dato speranza per una gestione completamente diversa dal passato. Appena due mesi dopo Rossi è stato rispedito a Torino per via dei suoi contrasti con il vicesindaco Tommaso Sodano. Alla presidenza della municipalizzata è stato nominato Raffaele Del Giudice, storico leader di Legambiente Campania. Sui rifiuti il primo cittadino si è impiccato alle promesse, dichiarando pubblicamente di voler portare la raccolta differenziata al settanta per cento in sei mesi. E invece da due anni è inchiodata al ventisette per cento e attuata solo in alcuni quartieri cittadini; la raccolta porta a porta coinvolge solo un terzo della città: trecentomila persone su quasi un milione di abitanti. Colpa dei soldi che arrivano col contagocce dalla regione Campania e dallo Stato, accusa il comune. La percezione è però quella di una sconfitta personale del sindaco.
Sulla questione c’è poi un’altra vicenda emblematica: dopo la crisi lampo nello smaltimento, quando si riaffacciò l’incubo dei cumuli di rifiuti lungo le strade – era il giugno 2011 – il comune dispose il trasporto della spazzatura nel Nord Europa, attraverso navi cargo, per bruciarla negli inceneritori all’estero e consentire una tregua all’emergenza. Una soluzione tampone, in attesa di provvedimenti strutturali, ma che si rivelerà necessaria più volte, mentre misure alternative come quella di un impianto di compostaggio restano sulla carta e al centro delle polemiche: oggi l’unica certezza è quella di un bando di gara e di un luogo. Il compostaggio si farà a Scampìa, periferia simbolo del degrado napoletano, quartiere del narcotraffico, dei mostri di cemento – le Vele – delle sanguinose faide di camorra. E ora anche della monnezza. Anche in questo caso si sono levate voci di protesta per le modalità poco partecipative nella scelta del sito.
Welfare: da cavallo di battaglia a pietra d’inciampo
È venuto a mancare l’appoggio della base: de Magistris si ritrova senza quei comitati e quelle associazioni che due anni e mezzo fa lo spinsero ad affrontare la sfida proponendosi quale alternativa a centro-destra e centro-sinistra. Paradigma di tutto ciò è la questione delle politiche sociali. Il primo assessore al ramo è stato Sergio D’Angelo, portavoce del comitato «Il welfare non è lusso» ed ex presidente del gruppo di cooperative sociali Gesco, uno dei personaggi più rilevanti del mondo della cooperazione in Campania. La sua esperienza si è conclusa a gennaio di quest’anno con le dimissioni conseguenti alla candidatura al Senato in Rivoluzione civile e il successivo rifiuto di rientrare in squadra dopo la mancata elezione. Dopo le politiche, infatti, anche il rapporto con questo mondo si è incrinato. A D’Angelo sono legati due consiglieri comunali, Pietro Rinaldi e Vittorio Vasquez che lo scorso settembre hanno lasciato la maggioranza arancione e sancito la fine della lista civica «Napoli è tua», legata al sindaco. Il 29 ottobre scorso, in un’assemblea svoltasi a Napoli, davanti a oltre 300 persone, i tre ex arancioni hanno dichiarato il fallimento del progetto politico nato intorno all’ex magistrato. «Temo che l’amministrazione ancora oggi, dopo due anni e mezzo, non disponga di un pensiero condiviso con la città», commenta Sergio D’Angelo. «A furia di pretendere tutto dalla città, ogni bene possibile, la si priva della libertà di scegliere. Quando si racconta di una Napoli impegnata nella ricerca della felicità si rimuove il disagio ed espellere questo tema dalla discussione è l’ossessione del sindaco. Una città che è abituata a rimuovere il disagio non sa più scegliere tra Scampia, Soccavo, gli altri quartieri popolari e i grandi eventi come la Coppa America o il Giro d’Italia. E così, impegnati nell’allestimento di questo grande lunapark, non ci si preoccupa di tutti quei problemi antichi, aggravati con la crisi economica».
Traducendo in numeri: nel bilancio comunale 2011-12 la spesa sociale era stata aumentata di venti milioni, passando da settanta a novanta. Nella manovra 2013, invece, è diminuita del quindici per cento. Al 31 ottobre 2013 circa duemila persone con disabilità e anziani sono rimaste senza assistenza domiciliare. Per centocinquanta operatori sociali sono partite le lettere di licenziamento. Il comune ha un debito di quattro milioni da oltre tre anni con le cooperative sociali e ha compromesso il sistema dei servizi domiciliari ai disabili; a questo si aggiungono i problemi nell’assistenza all’infanzia con la sospensione delle educative territoriali nei quartieri periferici e i due anni di ritardo nei pagamenti dei vitti nelle case famiglia per i minori a rischio. In campagna elettorale il welfare era stato il cavallo di battaglia dell’allora candidato a sindaco. Oggi, proprio dalla platea del terzo settore, uno dei punti di forza della rivoluzione arancione, nonché imponente bacino elettorale, è arrivata a metà mandato la più cocente bocciatura di questa giunta.
Chi per primo ha deciso di lasciare questa esperienza di governo oggi ne parla con sincero dispiacere e viva rabbia. L’economista Riccardo Realfonzo, ex assessore al Bilancio, «dimissionato» nel 2012, usa un termine forte: «tradimento». «Sì, è stato un tradimento del mandato dei cittadini. Non ha voluto attuare le riforme né il programma che ci si era dati; ha allontanato tutti coloro che, pensando di voler seguire questo progetto, diventavano invece per lui un ostacolo. Il sindaco ha cercato scorciatoie per la scalata alla politica nazionale. E la rivoluzione», continua Realfonzo, «è purtroppo rimasta sulla carta. Il programma parlava di un’azione di riforma radicale per Napoli ed era stato scritto con la parte migliore della società civile che aveva creduto in questa scommessa. Servivano riforme radicali e non sono state fatte. I tagli agli enti locali? Sicuramente hanno inciso sulla scarsa qualità dei servizi forniti ai cittadini, ma la cosa non deve fornire alibi: si poteva riformare la macchina comunale e non è stato fatto; si poteva riformare il sistema delle società partecipate. E non è stato fatto».
Altro conflitto si è verificato sul tema, delicatissimo, degli alloggi popolari. Nel mese di settembre l’amministrazione ha approvato una delibera per offrire agli occupanti abusivi di immobili comunali la possibilità di regolarizzare la propria condizione. La sanatoria secondo i promotori in consiglio comunale sarebbe dovuta servire a sancire il diritto all’alloggio per coloro che l’avevano occupato anni addietro, mossi da impellente bisogno. Contro il provvedimento si erano schierati coloro che invece temevano il colpo di spugna a vantaggio delle famiglie camorriste che gestiscono finanche le case popolari nei quartieri delle periferie a rischio. Legalità o solidarietà? Rispetto delle regole costi quel che costi o accettazione delle tante «zone d’ombra» del sottoproletariato urbano ai piedi del Vesuvio? Il risultato – il sì alla delibera della sanatoria ma con la promessa di un’improbabile task force per stanare i camorristi residenti nelle case comunali – ha scontentato tutti. Domenico Lopresto, capo dell’Unione inquilini, sindacato di base in terra di frontiera, più volte aggredito e minacciato dalla camorra per le sue denunce, attivista inizialmente schierato col sindaco, ha preso posizione sull’argomento: «Si è parlato solo di camorra senza pensare ai diseredati e ai poveracci. Il comune doveva cacciare dalle case i condannati al 416 bis che a Napoli sono 3.200 e assegnare questi alloggi a chi è regolarmente in graduatoria».
Il capoluogo della Campania, storicamente agli ultimi posti nelle classifiche di vivibilità, ha passato gli ultimi due anni discutendo della realizzazione di piste ciclabili e delle nuove Ztl, le zone a traffico limitato. Sottrarre spazio ai veicoli per ampliare le aree pedonali era uno dei pilastri del programma di governo. Che si è scontrato, poi, contro due iceberg. Il primo, rappresentato dalla fisiologica resistenza al cambiamento da parte dei residenti nelle aree interessate, risolvibile solo con la politica del dialogo e della concertazione che da parte della giunta de Magistris è mancata. Il secondo è invece rappresentato dalla più grave crisi nei trasporti pubblici campani degli ultimi vent’anni. Il sistema integrato gomma-ferro gestito dal comune e dalla regione Campania è imploso, causa debiti milionari, rendendo insufficiente l’offerta per i residenti e per le centinaia di migliaia di pendolari che ogni giorno si recano in città. E così, in alcuni casi, la giunta comunale è dovuta precipitosamente tornare sui suoi passi, rivedendo talune decisioni. Nell’aprile di quest’anno, inoltre, i commercianti del centro cittadino sono scesi in piazza per manifestare contro l’amministrazione e denunciare il danno economico cagionato da questi provvedimenti. Non era mai successo; è finita in tafferugli e lacrimogeni sotto palazzo San Giacomo.
Chi di comunicazione ferisce…
Ma a rappresentare una novità rispetto al passato, c’è anche che il fatto che Luigi de Magistris è il primo sindaco «social». Se il suo predecessore, Rosa Russo Iervolino, non aveva nemmeno un portavoce, de Magistris ha fatto della comunicazione un elemento vincente della campagna elettorale e dei primi mesi del suo mandato. Il suo staff monitora i giornali cartacei locali e nazionali, le principali emittenti televisive nazionali e locali, una ventina di siti internet di rilevanza nazionale e regionale e produce contenuti sui quattro canali social del primo cittadino (Facebook, Twitter, YouTube, Instagram). Dai commenti dei cittadini vengono desunte periodiche analisi che dovrebbero mostrare il «sentiment» della città rispetto all’operato di governo; queste relazioni vengono sottoposte al sindaco e alla sua cerchia ristretta di collaboratori. Oggi, però, quella stessa esuberanza telematica che aveva trascinato l’ex pubblico ministero nella competizione elettorale lo sta consumando nell’esperienza amministrativa. In questa guerra di opinioni, combattuta per lo più su Facebook, numerose realtà fanno sentire la loro voce critica: «Cittadinanza attiva in difesa di Napoli»; «Napoli punto e a capo»; «Democratici contro il fumo rivoluzionario della giunta», sono alcuni dei gruppi di discussione più partecipati che raccolgono malcontento, producono documenti, foto, video sui disagi più sentiti dalla popolazione e organizzano manifestazioni di protesta. Anche la stampa dopo un primo periodo di entusiasmo ha iniziato a bastonare: l’Espresso, a gennaio di quest’anno, con un grande fotomontaggio in prima pagina, definiva con ironia de Magistris «re di Napoli» paragonandolo al pazzariello, l’ambulante pacchianamente travestito da generale borbonico invitato a fare ammuina alle inaugurazioni delle botteghe, figura resa celebre da Totò in L’oro di Napoli di Vittorio De Sica. Il Fatto Quotidiano all’indomani dell’addio di Raphael Rossi dichiarò l’esperienza napoletana fatta di «populismo e passerelle»; Roberto Saviano polemizzò duramente a mezzo stampa con l’ex giudice dopo la defenestrazione del manager di Asia. Del resto, come sostengono molti osservatori dei fatti partenopei, il protagonismo dell’uomo politico non aiuta. Anzi, causa spesso effetti involontariamente comici. Celebre il video girato nel suo ufficio in cui il sindaco si rivolgeva ad Al Pacino invitandolo a visitare Napoli (ad oggi l’attore non ha fatto seguito alla proposta). C’è poi il botta e risposta via Twitter con Flavio Briatore per organizzare un incontro sullo yacht dell’inventore del «Billionaire» insieme alla moglie, la soubrette Elisabetta Gregoraci. E ancora: la promessa di portare Barack Obama a Napoli entro Natale 2013; l’annuncio di voler estromettere Equitalia dal servizio di riscossione dei tributi comunali; gli entusiastici commenti su Facebook dal concerto di Manu Chao in cui proclamava: «Napoli rivoluzionaria, siamo tutti clandestini!». Ciò che si imputa al sindaco è sempre lo stesso, insomma: dichiarazioni d’intenti a dir poco audaci cui non seguono i fatti. Esempio: trasformare la zona degradata dei quartieri spagnoli nel quartiere parigino di Montmartre, pedonalizzare il caotico corso Umberto I, tra le dieci strade più trafficate d’Europa, rendendolo come la Rambla di Barcellona.
Chi lo aveva seguito in campagna elettorale non lo riconosce più. Giuliana Quattromini, avvocato napoletano, anima di quella parte di società civile che nel 2002 costituì in tutt’Italia il movimento dei Girotondi, aveva sostenuto l’ascesa dell’ex pubblico ministero di «Why Not». Oggi il suo giudizio è tranchant: «Avevamo pensato si potesse realizzare la democrazia partecipata dal basso. Nel corso di tutta la campagna elettorale con Alberto Lucarelli eravamo riusciti a ribadire che l’azione di governo sarebbe ruotata intorno a questo principio. Ci abbiamo creduto. Venivamo da anni di smarrimento politico e molti di noi si erano messi intorno a de Magistris con discrezione, senza far nemmeno parte del suo comitato elettorale, proprio per essere propositivi e non invasivi». Poi, il brusco risveglio: «È stato un sindaco sordo alle nostre richieste», racconta Quattromini. «A sei mesi dall’elezione gli avevamo chiesto un’assemblea che facesse il punto sulla prima fase dell’esperienza amministrativa. Niente da fare. Il “palazzo di vetro” è rimasto uno slogan. Oggi intorno a lui sono rimasti solo i politici di professione, si è scavato una sorta di trincea in cui temo rimarrà intrappolato. Insomma, non si è creata una cerniera tra i movimenti e l’amministrazione. E non mi riconosco nemmeno in questi gruppi di opposizione perché vengono spesso cavalcati e strumentalizzati dalla destra».
Tra grandi eventi e improvvisazione
Ma nonostante il progressivo scollamento dei gruppi che lo avevano sostenuto, de Magistris non si ferma. Se la leadership del primo sindaco eletto direttamente dai cittadini, Antonio Bassolino, arrivò portando una decisione e un evento – la decisione fu la pedonalizzazione di piazza del Plebiscito, fino ad allora gigantesco parcheggio d’auto, e l’evento fu il summit dei G7 – oggi, quasi a voler rispondere a quell’esperienza, il «sindaco del popolo» ha cercato nuove decisioni e nuovi eventi. Ha pedonalizzato il lungomare Caracciolo – poi costretto a un parziale dietrofront a causa del crollo dell’ala di un palazzo alla Riviera di Chiaia con conseguenti problemi di viabilità – e lì ha disposto il suggestivo palcoscenico per ospitare due delle gare preliminari dell’America’s Cup di vela. Intorno agli eventi si sono affastellate tante lamentele, in particolare sulle modalità organizzative, le procedure e le assegnazioni delle forniture di beni e servizi. La magistratura ha deciso di vederci chiaro e a giugno è scattata un’inchiesta che ipotizza i reati di turbativa d’asta e abuso d’ufficio e coinvolge, tra gli altri, il presidente della regione Campania, Stefano Caldoro, l’ex presidente della Provincia di Napoli, Luigi Cesaro, nonché il sindaco e suo fratello Claudio, consulente per i Grandi Eventi del comune (a titolo gratuito) e per la comunicazione nell’Italia dei valori (retribuito). La vicenda di Claudio de Magistris tiene banco da due anni: di professione organizzatore d’eventi, eminenza grigia della campagna elettorale, il suo ruolo è stato da subito fonte di polemiche e di accuse di familismo amorale, sempre respinte con forza dal primo cittadino: de Magistris jr. non è solo un parente ma il più fedele dei collaboratori. Nella vicenda della Coppa America questa storia ha tuttavia rappresentato un notevole punto di debolezza per la maggioranza arancione e il suo leader. E lo stesso è avvenuto nella vicenda del Forum universale delle culture, ricevuto in eredità della precedente amministrazione. Annunciata come una grande vetrina internazionale, la kermesse si è via via ridotta nel programma e nelle aspettative, complice la crisi economica. Il coup de théâtre di Luigi de Magistris, appena eletto, fu quello di nominare il cantautore Roberto Vecchioni a capo della Fondazione incaricata di sovrintendere al Forum. Vecchioni dopo qualche mese è scappato via. Come lui anche il produttore Andres Neumann e molti altri. Motivo: impossibile assicurare il cartellone di un evento che inizialmente doveva essere finanziato con 250 milioni di euro ed è finito invece con una disponibilità di 16 milioni in cassa. La data di inizio è stata via via spostata: da marzo a luglio a novembre 2013 e il sito internet dedicato all’argomento è il termometro dell’imbarazzo comunale: «In manutenzione», si legge.
Paolo Macry, docente di Storia contemporanea alla Federico II ed editorialista del Corriere del Mezzogiorno, attento osservatore delle dinamiche politiche cittadine, definisce l’intera esperienza di governo «frutto di improvvisazione». «Ha provato a creare collegamenti con pezzi della società cittadina, con gli industriali come coi movimenti ma sono sembrate cose improvvisate, dove non aveva carte da giocarsi. È un caso eclatante di personalizzazione della politica col piccolo particolare che la leadership politica era improvvisata, non era forte. Non è stato capace di creare un sistema di alleanze consiliari e politiche. Sicuramente», continua Macry, «una delle debolezze è stata che non aveva un euro da spendere. Ha sopperito alla mancanza di risorse vendendo la Fontana di Trevi, alla Totò. Mi riferisco alla bellezza del lungomare, ai Grandi eventi… Però anche in questo caso si è trattato di qualcosa d’effimero; non di un uso ma di un abuso delle risorse ambientali. Del resto basta pensare alle proteste che questi eventi hanno generato in città».
Analizzando le sortite notturne su Twitter – a quell’orario non opera lo staff ma de Magistris in persona – notiamo che il sindaco «scassatutto» pigia sul pedale dell’indignazione e della ribellione del popolo contro i pluricitati poteri forti, le massomafie, la tecnocrazia e il centralismo di Stato. L’azione amministrativa non è però coerente con queste idee-spot. Due esempi su tutti: quello di Alfredo Romeo e quello di Marilù Faraone Mennella. Romeo per oltre vent’anni con la sua società di servizi ha gestito il patrimonio immobiliare del comune. Da giudice, Luigi de Magistris ne confermò l’arresto nell’ambito di un’inchiesta sulla manutenzione delle strade che azzerò la seconda giunta Iervolino. Da candidato fece chiaramente capire che per Romeo non ci sarebbe stato spazio nel suo comune. Una volta sindaco, invece, è dovuto addivenire a più miti consigli. Ha accettato di firmare una transazione milionaria che prevedeva nel pacchetto anche un progetto (a totale finanziamento privato) per la riqualificazione dell’area nella quale insiste proprio l’albergo di Romeo, un cinque stelle che affaccia sul porto, a due passi da palazzo San Giacomo, in uno stabile di proprietà d’un altro sindaco, Achille Lauro. Con Marilù Faraone Mennella il discorso è diverso. Moglie dell’ex presidente di Confindustria Antonio D’Amato, la donna insieme al consorte, attraverso l’Udc, ha fortemente sostenuto al secondo turno delle amministrative la lista arancione contro il candidato di centro-destra, l’imprenditore Gianni Lettieri. Faraone Mennella è però anche a capo della cordata di imprenditori del progetto immobiliare «Naplest», che sta costruendo un vasto insediamento residenziale nella zona orientale del capoluogo. Nelle ultime settimane l’imprenditrice è incappata in due diverse inchieste della procura di Napoli. La prima per «dichiarazione infedele» e «dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti» con un sequestro preventivo di beni pari a 5,5 milioni di euro; la seconda che invece tira in ballo un pezzo grosso della giunta, il vicesindaco Tommaso Sodano. Il numero due di palazzo San Giacomo è indagato con lei per corruzione. L’ipotesi dei magistrati è l’esistenza di un presunto accordo sottobanco per favorire l’imprenditrice nella realizzazione del nuovo stadio di calcio, sempre a Napoli Est. Una vicenda che sta provocando non pochi imbarazzi in comune. Sodano non si è dimesso. Ciò nonostante di recente sia stato anche condannato per l’aggressione di una vigilessa (episodio avvenuto nel 2007) e sia attualmente indagato per l’assegnazione di una consulenza al comune di Napoli. L’ex senatore di Rifondazione comunista è considerato un intoccabile: fa parte dei fedelissimi del sindaco. A differenza della sua ex collega di giunta, Pina Tommasielli, che invece poche settimane fa ha dovuto far fagotto. Il motivo? È accusata dalla procura di aver favorito suoi parenti, facendo rimuovere alcune contravvenzioni stradali elevate sul territorio cittadino.
È difficile dare una lettura definitiva e omogenea di tanti epifenomeni, perché da Bagnoli, speranza delusa di un riscatto postindustriale, a un centro storico folgorante e decadente, Napoli appare priva di prospettiva, imbavagliata come un’installazione di Christo. Nelle ultime settimane, poi, ha cominciato a farsi sentire, in città, la nostalgia di esperienze che nel 2011 le urne sembravano avere condannato: l’ex sindaco e governatore Antonio Bassolino si è ripreso la scena politica non risparmiando stoccate all’attuale inquilino del municipio; per Paolo Macry il suo ritorno è «chiaro termometro dell’insuccesso di Luigi de Magistris». Sarà allora perché Napoli dimostra ancora una volta di avere un grande stomaco, capace di digerire tutto, condendolo con uno storicismo autoassolutorio, ma nella città dei corsi e ricorsi vichiani, mai come ora appare attuale guardare al passato. Alle parole di Valenzi, ad esempio, che poco prima che la sua amministrazione cadesse asserì di aver capito una cosa importante sulla città e sul suo governo: «Non si può amministrare Napoli da un solo palazzo».
(13 dicembre 2013)
EDIT
Aggiungiamo, prendendo l'intervento di un compagno nei commenti, la risposta di De Magistris, che magari discuteremo nei commenti.
Credo che sia bene che il post resti anche domani per eventuali possibili spunti o valutazioni. A seconda dell'andamento della discussione, domani vedremo il da farsi.
da http://temi.repubblica.it/micromega-online/de-magistris-senza-un-soldo-in-cassa-ma-napoli-sta-cambiando/
colloquio con Luigi De Magistris di Giacomo Russo Spena
“Il mio mandato? Sono anch’io autocritico. E’ un problema di oggettive difficoltà: le casse comunali sono vuote. Ma molto è stato fatto ed ho ancora due anni di tempo per attuare le promesse elettorali”. Luigi De Magistris, sindaco di Napoli, è lettore di MicroMega da quando è sedicenne: non gli è sfuggito l’ultimo numero della rivista e la sezione dedicata alle “Rivoluzioni tradite”. Un reportage di Giuseppe Manzo e Ciro Pellegrino dal titolo “Scassanapoli” raccontava i guai della città e i limiti della governance di Giggino. “Non ho problemi coi cronisti campani né con loro due in particolare – spiega De Magistris – Vorrei solo che la stampa raccontasse anche il bello della città. A volte, a leggere i giornali, sembra descrivano Baghdad”.
Sindaco, ha il diritto di replica. Napoli non sarà Baghdad, però il problema della monnezza appare ancora irrisolto. Non trova?
Ho ereditato dalle giunte precedenti una situazione drammatica. Una volta sindaco ho trovato 2000-2500 tonnellate di rifiuti per strada. L’emergenza adesso non esiste. Abbiamo portato la raccolta differenziata dal 16 al 30 per cento, pianificato la raccolta porta a porta per 500mila abitanti (un terzo della popolazione partenopea), aumentato le isole ecologiche. Ci siamo opposti ad un nuovo inceneritore favorendo un eco distretto ed è partito un bando per un primo impianto di compostaggio per 30mila tonnellate di rifiuti. Inoltre abbiamo eliminato esternalizzazioni e appalti contrastando così l’infiltrazione della camorra. Certo lo “spazzamento” delle strade è migliorabile e il percorso intrapreso è tutt’altro che definitivo. I problemi restano ma, rispetto al passato, abbiamo attuato una rivoluzione.
E che mi dice dei tagli alle politiche sociali?
Non c’è stato alcun taglio. Le amministrazioni locali con la spending review del governo Monti hanno subito una mannaia con una conseguente mancanza di risorse liquide. Abbiamo lo stesso mantenuto le spese sociali. A Napoli i creditori, come gli operatori sociali, prima venivano pagati a 4 anni di distanza, con me il tempo si è ridotto ad un anno e mezzo. L’obiettivo è arrivare a 90 giorni. Pure qui avremmo voluto fare meglio però con le limitate risorse a disposizione...
Qua si parla di De Magistris e della sua gestione a Napoli.
Non sono molto informato -anche se Antonio Musella, compagno autore di Il paese dei veleni, ci diceva che il problema dei rifiuti urbani non è molto grave rispetto alle discariche industriali inquinanti- ma sembra proprio che il miracolo De Magistris non sia avvenuto.
Sarebbe bello sentire persone, come Transit, che a Napoli ci vivono per stare meglio sugli argomenti, ma quel che io penso è semplice e legato al problema del potere: i sindaci possono fare molto, ma non tutto, soprattutto se non hanno una rete forte ed organizzata; ma, anche se questa ci fosse, rimane ineludibile il problema del potere politico centrale. Solo attraverso esso è possibile attaccare padroni, rentiers, leggi europee strozzaeconomia e operare espropri di stabilimenti indegni...il resto -la democrazia dal basso, la partecipazione civile, la sinergia con la base, le soggettività, le moltitudini ecc...- sono chiacchiere che mi ricordano quelle dei peggiori epigoni nostrani dello zapatismo.
da
http://temi.repubblica.it/micromega-online/scassanapoli/

di Giuseppe Manzo e Ciro Pellegrino, da MicroMega 8/2013
Nella città del sole la luce di un avvenire rivoluzionario, color arancio, si vede ormai solo da un ufficio, al secondo piano del borbonico palazzo San Giacomo. Chi lo abita oggi, infatti, sembra godere di una prospettiva diversa rispetto ai suoi predecessori: un tempo, sotto quello stesso balcone – lo raccontava Maurizio Valenzi (primo sindaco comunista di Napoli, in carica dal 1975 al 1983), si affollavano questuanti e manifestanti. Ora, invece, richieste e lamentele all’attuale sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, viaggiano per lo più attraverso i social network e la posta elettronica. Certo, i cortei non sono spariti: schiamazzi, striscioni e volantini in piazza del Municipio sono all’ordine del giorno. Si alternano disoccupati organizzati, lavoratori di aziende municipalizzate in crisi, operatori sociali senza stipendio, dipendenti comunali col contratto in scadenza, poveri senza un tetto. Ma da quelle stanze al secondo piano del municipio, da dove si sarebbe dovuto governare il cambiamento e invece si è finiti col mettere pezze ai buchi – anzi alle voragini – nei conti pubblici, l’arancione si vede ancora. Forse. Anche se la città è sempre più critica e distante. Anche se il sindaco che voleva «scassare» sembra essersi arroccato. Anche se dall’insediamento, il primo giugno 2011, il consenso di quello che doveva essere il leader del cambiamento della terza città d’Italia e protagonista di un nuovo laboratorio politico meridionale, è andato via via assottigliandosi, e sta ora appuntito, aguzzo, agitato come l’asta di una delle bandiere che sventolano sulla piazza.
Quattro dati: inizialmente la maggioranza che sosteneva Luigi de Magistris era blindata e col primo cittadino – grazie alla decisione di non apparentarsi con nessun altro partito al secondo turno delle amministrative – erano schierati ventinove consiglieri comunali sui complessivi quarantotto. In due anni e mezzo si sono ridotti a ventuno. E oggi per alcuni atti fondamentali come le manovre di bilancio, risulta provvidenziale in aula l’appoggio dei «cespugli» di centro. Secondo dato: dal varo della giunta a oggi sono cambiati dieci assessori su dodici. Alcuni sono andati via sbattendo la porta, altri, invece, sono stati dimissionati per vari motivi. La quasi totalità dei fuoriusciti non ha più rapporti cordiali con l’ex pubblico ministero. E proprio questa conflittualità con la squadra di governo porta al terzo dato: Luigi de Magistris è il sindaco di una metropoli italiana col maggior numero di deleghe da gestire. Ne ha diciotto, tra quelle sue e quelle acquisite ad interim. È capo della giunta della terza città d’Italia e al tempo stesso assessore alla Mobilità, alla Sicurezza, alla Polizia municipale, allo Sport, alla Sanità, ai Fondi europei, agli Eventi internazionali, al Trasporto pubblico, alle Politiche anticorruzione, ai Rapporti con il consiglio comunale e le municipalità e infine alla Promozione della pace e alla Difesa e attuazione della Costituzione. Infine, l’ultimo aspetto: considerato outsider senza possibilità, tramutatosi in sorprendente macchina di consenso al momento delle elezioni e poi eletto, trionfante, trascinato in municipio da fedelissimi che intonavano Bella ciao, l’uomo con la bandana arancione, forte di un appoggio vasto e trasversale, è oggi crollato nei sondaggi di gradimento. L’ultimo in ordine di tempo, quello di Datamedia, rileva che ha perso un ulteriore 3,7 per cento dei consensi rispetto all’indagine precedente, piazzandosi in ultima posizione (nono) nella classifica dei sindaci di grandi comuni italiani, con il 49,5 per cento: un crollo di dieci punti in nove mesi. E così, colui che era riuscito a mettere insieme e convincere forze molto diverse tra loro, i giovani dei centri sociali e i delusi del Partito democratico e di Sinistra ecologia e libertà, l’attivismo sindacale di base e gli intellettuali dell’assise di palazzo Marigliano e dell’Istituto studi filosofici di palazzo Serra di Cassano, ma anche i moderati di area Udc e chi, al primo turno, aveva votato Popolo delle libertà, oggi si ritrova a non far più breccia nei loro cuori.
È stata la «luna di miele» più breve nella storia della politica cittadina dall’introduzione dell’elezione diretta del sindaco.
Democrazia partecipativa: una promessa mancata
L’asticella delle promesse, piazzata molto in alto, ha nei fatti reso impossibile il salto verso quella «rivoluzione» prospettata in campagna elettorale. Il fallimento della democrazia partecipativa è alla base del malcontento di quei movimenti di donne e uomini che non riconoscono più nell’ex europarlamentare dell’Italia dei valori un interlocutore credibile. Il coinvolgimento dei cittadini in tutte le decisioni era stata una naturale conseguenza per come erano maturate candidatura e successiva elezione: Luigi de Magistris aveva dunque individuato in questa modalità una carta vincente per reggere un’amministrazione nata fuori dai convenzionali schemi di partito. «Dopo il laboratorio Puglia, l’Italia guarderà al laboratorio Napoli per la partecipazione dei cittadini»: questo, nel luglio 2011, era l’auspicio dell’ex assessore ai Beni comuni Alberto Lucarelli, professore di Diritto pubblico alla Federico II e tra gli estensori dei quesiti per il referendum sull’acqua pubblica, uscito dalla giunta per candidarsi con Rivoluzione civile e oggi componente dell’Osservatorio comunale sui beni comuni. Appena insediata la giunta, nell’estate di quell’anno, iniziò il percorso di partecipazione attiva con assemblee nelle periferie e nel borbonico Albergo dei poveri, affollate da associazioni, comitati e movimenti. Bisognava redigere la «Costituente dei beni comuni». La fase è durata poco più di un mese. Poi, il nulla. «Le decisioni verranno concordate con la popolazione e messe in atto in modo risoluto», ribadì il sindaco, lanciando sul sito internet istituzionale dell’ente i mercoledì aperti al ricevimento dei cittadini, appuntamento finito nel dimenticatoio in brevissimo tempo.
Tuttavia il rapporto con movimenti, comitati e associazionismo non si è incrinato solo per l’inconsistenza di un assessorato «alle assemblee di popolo», bensì su una serie di vicende specifiche. La prima spaccatura profonda si creò dopo lo sgombero di un centinaio di migranti da un deposito comunale in periferia, luogo individuato quale sito temporaneo di stoccaggio della spazzatura da spedire all’estero. Poi l’inasprimento della lotta ai venditori ambulanti abusivi, molti dei quali immigrati, e, nella zona della stazione centrale, la chiusura dei mercatini multietnici. Le associazioni degli immigrati sono state le prime in assoluto a manifestare a palazzo San Giacomo. La questione, al di là degli episodi specifici, nascondeva in realtà un conflitto identitario più profondo: quella di Luigi de Magistris è la giunta della tolleranza o la giunta della tolleranza zero? All’inizio, in squadra, l’ex pm di Catanzaro aveva un altro magistrato, Giuseppe Narducci, pubblico ministero anticamorra nominato assessore alla Sicurezza. E poi, due carabinieri: il generale Luigi Sementa, all’epoca comandante della Polizia municipale, e il colonnello Attilio Auricchio, attuale capo di gabinetto. Incapace di trovare una sintesi tra le istanze sociali e quelle legalitarie, il sindaco si è trovato più volte al centro dello scontro politico (e a mezzo stampa) tra i suoi assessori mossi da idee profondamente diverse.
Il conflitto tra diverse visioni, lasciato senza mediazione, si è riproposto secondo uno schema identico anche sul fronte rifiuti. Da lì è venuta fuori la sconfitta più grande per Luigi de Magistris nel suo rapporto con la domanda di partecipazione dei movimenti. Se da europarlamentare egli era stato tra i primi a schierarsi contro l’apertura della discarica di Chiaiano tanto da instaurare un rapporto molto solido con i comitati di lotta, da sindaco è poi entrato in collisione proprio con queste realtà. La nomina alla presidenza di Asia, azienda municipalizzata ambientale, di Raphael Rossi, manager torinese noto per aver denunciato la corruzione nella pubblica amministrazione, aveva dato speranza per una gestione completamente diversa dal passato. Appena due mesi dopo Rossi è stato rispedito a Torino per via dei suoi contrasti con il vicesindaco Tommaso Sodano. Alla presidenza della municipalizzata è stato nominato Raffaele Del Giudice, storico leader di Legambiente Campania. Sui rifiuti il primo cittadino si è impiccato alle promesse, dichiarando pubblicamente di voler portare la raccolta differenziata al settanta per cento in sei mesi. E invece da due anni è inchiodata al ventisette per cento e attuata solo in alcuni quartieri cittadini; la raccolta porta a porta coinvolge solo un terzo della città: trecentomila persone su quasi un milione di abitanti. Colpa dei soldi che arrivano col contagocce dalla regione Campania e dallo Stato, accusa il comune. La percezione è però quella di una sconfitta personale del sindaco.
Sulla questione c’è poi un’altra vicenda emblematica: dopo la crisi lampo nello smaltimento, quando si riaffacciò l’incubo dei cumuli di rifiuti lungo le strade – era il giugno 2011 – il comune dispose il trasporto della spazzatura nel Nord Europa, attraverso navi cargo, per bruciarla negli inceneritori all’estero e consentire una tregua all’emergenza. Una soluzione tampone, in attesa di provvedimenti strutturali, ma che si rivelerà necessaria più volte, mentre misure alternative come quella di un impianto di compostaggio restano sulla carta e al centro delle polemiche: oggi l’unica certezza è quella di un bando di gara e di un luogo. Il compostaggio si farà a Scampìa, periferia simbolo del degrado napoletano, quartiere del narcotraffico, dei mostri di cemento – le Vele – delle sanguinose faide di camorra. E ora anche della monnezza. Anche in questo caso si sono levate voci di protesta per le modalità poco partecipative nella scelta del sito.
Welfare: da cavallo di battaglia a pietra d’inciampo
È venuto a mancare l’appoggio della base: de Magistris si ritrova senza quei comitati e quelle associazioni che due anni e mezzo fa lo spinsero ad affrontare la sfida proponendosi quale alternativa a centro-destra e centro-sinistra. Paradigma di tutto ciò è la questione delle politiche sociali. Il primo assessore al ramo è stato Sergio D’Angelo, portavoce del comitato «Il welfare non è lusso» ed ex presidente del gruppo di cooperative sociali Gesco, uno dei personaggi più rilevanti del mondo della cooperazione in Campania. La sua esperienza si è conclusa a gennaio di quest’anno con le dimissioni conseguenti alla candidatura al Senato in Rivoluzione civile e il successivo rifiuto di rientrare in squadra dopo la mancata elezione. Dopo le politiche, infatti, anche il rapporto con questo mondo si è incrinato. A D’Angelo sono legati due consiglieri comunali, Pietro Rinaldi e Vittorio Vasquez che lo scorso settembre hanno lasciato la maggioranza arancione e sancito la fine della lista civica «Napoli è tua», legata al sindaco. Il 29 ottobre scorso, in un’assemblea svoltasi a Napoli, davanti a oltre 300 persone, i tre ex arancioni hanno dichiarato il fallimento del progetto politico nato intorno all’ex magistrato. «Temo che l’amministrazione ancora oggi, dopo due anni e mezzo, non disponga di un pensiero condiviso con la città», commenta Sergio D’Angelo. «A furia di pretendere tutto dalla città, ogni bene possibile, la si priva della libertà di scegliere. Quando si racconta di una Napoli impegnata nella ricerca della felicità si rimuove il disagio ed espellere questo tema dalla discussione è l’ossessione del sindaco. Una città che è abituata a rimuovere il disagio non sa più scegliere tra Scampia, Soccavo, gli altri quartieri popolari e i grandi eventi come la Coppa America o il Giro d’Italia. E così, impegnati nell’allestimento di questo grande lunapark, non ci si preoccupa di tutti quei problemi antichi, aggravati con la crisi economica».
Traducendo in numeri: nel bilancio comunale 2011-12 la spesa sociale era stata aumentata di venti milioni, passando da settanta a novanta. Nella manovra 2013, invece, è diminuita del quindici per cento. Al 31 ottobre 2013 circa duemila persone con disabilità e anziani sono rimaste senza assistenza domiciliare. Per centocinquanta operatori sociali sono partite le lettere di licenziamento. Il comune ha un debito di quattro milioni da oltre tre anni con le cooperative sociali e ha compromesso il sistema dei servizi domiciliari ai disabili; a questo si aggiungono i problemi nell’assistenza all’infanzia con la sospensione delle educative territoriali nei quartieri periferici e i due anni di ritardo nei pagamenti dei vitti nelle case famiglia per i minori a rischio. In campagna elettorale il welfare era stato il cavallo di battaglia dell’allora candidato a sindaco. Oggi, proprio dalla platea del terzo settore, uno dei punti di forza della rivoluzione arancione, nonché imponente bacino elettorale, è arrivata a metà mandato la più cocente bocciatura di questa giunta.
Chi per primo ha deciso di lasciare questa esperienza di governo oggi ne parla con sincero dispiacere e viva rabbia. L’economista Riccardo Realfonzo, ex assessore al Bilancio, «dimissionato» nel 2012, usa un termine forte: «tradimento». «Sì, è stato un tradimento del mandato dei cittadini. Non ha voluto attuare le riforme né il programma che ci si era dati; ha allontanato tutti coloro che, pensando di voler seguire questo progetto, diventavano invece per lui un ostacolo. Il sindaco ha cercato scorciatoie per la scalata alla politica nazionale. E la rivoluzione», continua Realfonzo, «è purtroppo rimasta sulla carta. Il programma parlava di un’azione di riforma radicale per Napoli ed era stato scritto con la parte migliore della società civile che aveva creduto in questa scommessa. Servivano riforme radicali e non sono state fatte. I tagli agli enti locali? Sicuramente hanno inciso sulla scarsa qualità dei servizi forniti ai cittadini, ma la cosa non deve fornire alibi: si poteva riformare la macchina comunale e non è stato fatto; si poteva riformare il sistema delle società partecipate. E non è stato fatto».
Altro conflitto si è verificato sul tema, delicatissimo, degli alloggi popolari. Nel mese di settembre l’amministrazione ha approvato una delibera per offrire agli occupanti abusivi di immobili comunali la possibilità di regolarizzare la propria condizione. La sanatoria secondo i promotori in consiglio comunale sarebbe dovuta servire a sancire il diritto all’alloggio per coloro che l’avevano occupato anni addietro, mossi da impellente bisogno. Contro il provvedimento si erano schierati coloro che invece temevano il colpo di spugna a vantaggio delle famiglie camorriste che gestiscono finanche le case popolari nei quartieri delle periferie a rischio. Legalità o solidarietà? Rispetto delle regole costi quel che costi o accettazione delle tante «zone d’ombra» del sottoproletariato urbano ai piedi del Vesuvio? Il risultato – il sì alla delibera della sanatoria ma con la promessa di un’improbabile task force per stanare i camorristi residenti nelle case comunali – ha scontentato tutti. Domenico Lopresto, capo dell’Unione inquilini, sindacato di base in terra di frontiera, più volte aggredito e minacciato dalla camorra per le sue denunce, attivista inizialmente schierato col sindaco, ha preso posizione sull’argomento: «Si è parlato solo di camorra senza pensare ai diseredati e ai poveracci. Il comune doveva cacciare dalle case i condannati al 416 bis che a Napoli sono 3.200 e assegnare questi alloggi a chi è regolarmente in graduatoria».
Il capoluogo della Campania, storicamente agli ultimi posti nelle classifiche di vivibilità, ha passato gli ultimi due anni discutendo della realizzazione di piste ciclabili e delle nuove Ztl, le zone a traffico limitato. Sottrarre spazio ai veicoli per ampliare le aree pedonali era uno dei pilastri del programma di governo. Che si è scontrato, poi, contro due iceberg. Il primo, rappresentato dalla fisiologica resistenza al cambiamento da parte dei residenti nelle aree interessate, risolvibile solo con la politica del dialogo e della concertazione che da parte della giunta de Magistris è mancata. Il secondo è invece rappresentato dalla più grave crisi nei trasporti pubblici campani degli ultimi vent’anni. Il sistema integrato gomma-ferro gestito dal comune e dalla regione Campania è imploso, causa debiti milionari, rendendo insufficiente l’offerta per i residenti e per le centinaia di migliaia di pendolari che ogni giorno si recano in città. E così, in alcuni casi, la giunta comunale è dovuta precipitosamente tornare sui suoi passi, rivedendo talune decisioni. Nell’aprile di quest’anno, inoltre, i commercianti del centro cittadino sono scesi in piazza per manifestare contro l’amministrazione e denunciare il danno economico cagionato da questi provvedimenti. Non era mai successo; è finita in tafferugli e lacrimogeni sotto palazzo San Giacomo.
Chi di comunicazione ferisce…
Ma a rappresentare una novità rispetto al passato, c’è anche che il fatto che Luigi de Magistris è il primo sindaco «social». Se il suo predecessore, Rosa Russo Iervolino, non aveva nemmeno un portavoce, de Magistris ha fatto della comunicazione un elemento vincente della campagna elettorale e dei primi mesi del suo mandato. Il suo staff monitora i giornali cartacei locali e nazionali, le principali emittenti televisive nazionali e locali, una ventina di siti internet di rilevanza nazionale e regionale e produce contenuti sui quattro canali social del primo cittadino (Facebook, Twitter, YouTube, Instagram). Dai commenti dei cittadini vengono desunte periodiche analisi che dovrebbero mostrare il «sentiment» della città rispetto all’operato di governo; queste relazioni vengono sottoposte al sindaco e alla sua cerchia ristretta di collaboratori. Oggi, però, quella stessa esuberanza telematica che aveva trascinato l’ex pubblico ministero nella competizione elettorale lo sta consumando nell’esperienza amministrativa. In questa guerra di opinioni, combattuta per lo più su Facebook, numerose realtà fanno sentire la loro voce critica: «Cittadinanza attiva in difesa di Napoli»; «Napoli punto e a capo»; «Democratici contro il fumo rivoluzionario della giunta», sono alcuni dei gruppi di discussione più partecipati che raccolgono malcontento, producono documenti, foto, video sui disagi più sentiti dalla popolazione e organizzano manifestazioni di protesta. Anche la stampa dopo un primo periodo di entusiasmo ha iniziato a bastonare: l’Espresso, a gennaio di quest’anno, con un grande fotomontaggio in prima pagina, definiva con ironia de Magistris «re di Napoli» paragonandolo al pazzariello, l’ambulante pacchianamente travestito da generale borbonico invitato a fare ammuina alle inaugurazioni delle botteghe, figura resa celebre da Totò in L’oro di Napoli di Vittorio De Sica. Il Fatto Quotidiano all’indomani dell’addio di Raphael Rossi dichiarò l’esperienza napoletana fatta di «populismo e passerelle»; Roberto Saviano polemizzò duramente a mezzo stampa con l’ex giudice dopo la defenestrazione del manager di Asia. Del resto, come sostengono molti osservatori dei fatti partenopei, il protagonismo dell’uomo politico non aiuta. Anzi, causa spesso effetti involontariamente comici. Celebre il video girato nel suo ufficio in cui il sindaco si rivolgeva ad Al Pacino invitandolo a visitare Napoli (ad oggi l’attore non ha fatto seguito alla proposta). C’è poi il botta e risposta via Twitter con Flavio Briatore per organizzare un incontro sullo yacht dell’inventore del «Billionaire» insieme alla moglie, la soubrette Elisabetta Gregoraci. E ancora: la promessa di portare Barack Obama a Napoli entro Natale 2013; l’annuncio di voler estromettere Equitalia dal servizio di riscossione dei tributi comunali; gli entusiastici commenti su Facebook dal concerto di Manu Chao in cui proclamava: «Napoli rivoluzionaria, siamo tutti clandestini!». Ciò che si imputa al sindaco è sempre lo stesso, insomma: dichiarazioni d’intenti a dir poco audaci cui non seguono i fatti. Esempio: trasformare la zona degradata dei quartieri spagnoli nel quartiere parigino di Montmartre, pedonalizzare il caotico corso Umberto I, tra le dieci strade più trafficate d’Europa, rendendolo come la Rambla di Barcellona.
Chi lo aveva seguito in campagna elettorale non lo riconosce più. Giuliana Quattromini, avvocato napoletano, anima di quella parte di società civile che nel 2002 costituì in tutt’Italia il movimento dei Girotondi, aveva sostenuto l’ascesa dell’ex pubblico ministero di «Why Not». Oggi il suo giudizio è tranchant: «Avevamo pensato si potesse realizzare la democrazia partecipata dal basso. Nel corso di tutta la campagna elettorale con Alberto Lucarelli eravamo riusciti a ribadire che l’azione di governo sarebbe ruotata intorno a questo principio. Ci abbiamo creduto. Venivamo da anni di smarrimento politico e molti di noi si erano messi intorno a de Magistris con discrezione, senza far nemmeno parte del suo comitato elettorale, proprio per essere propositivi e non invasivi». Poi, il brusco risveglio: «È stato un sindaco sordo alle nostre richieste», racconta Quattromini. «A sei mesi dall’elezione gli avevamo chiesto un’assemblea che facesse il punto sulla prima fase dell’esperienza amministrativa. Niente da fare. Il “palazzo di vetro” è rimasto uno slogan. Oggi intorno a lui sono rimasti solo i politici di professione, si è scavato una sorta di trincea in cui temo rimarrà intrappolato. Insomma, non si è creata una cerniera tra i movimenti e l’amministrazione. E non mi riconosco nemmeno in questi gruppi di opposizione perché vengono spesso cavalcati e strumentalizzati dalla destra».
Tra grandi eventi e improvvisazione
Ma nonostante il progressivo scollamento dei gruppi che lo avevano sostenuto, de Magistris non si ferma. Se la leadership del primo sindaco eletto direttamente dai cittadini, Antonio Bassolino, arrivò portando una decisione e un evento – la decisione fu la pedonalizzazione di piazza del Plebiscito, fino ad allora gigantesco parcheggio d’auto, e l’evento fu il summit dei G7 – oggi, quasi a voler rispondere a quell’esperienza, il «sindaco del popolo» ha cercato nuove decisioni e nuovi eventi. Ha pedonalizzato il lungomare Caracciolo – poi costretto a un parziale dietrofront a causa del crollo dell’ala di un palazzo alla Riviera di Chiaia con conseguenti problemi di viabilità – e lì ha disposto il suggestivo palcoscenico per ospitare due delle gare preliminari dell’America’s Cup di vela. Intorno agli eventi si sono affastellate tante lamentele, in particolare sulle modalità organizzative, le procedure e le assegnazioni delle forniture di beni e servizi. La magistratura ha deciso di vederci chiaro e a giugno è scattata un’inchiesta che ipotizza i reati di turbativa d’asta e abuso d’ufficio e coinvolge, tra gli altri, il presidente della regione Campania, Stefano Caldoro, l’ex presidente della Provincia di Napoli, Luigi Cesaro, nonché il sindaco e suo fratello Claudio, consulente per i Grandi Eventi del comune (a titolo gratuito) e per la comunicazione nell’Italia dei valori (retribuito). La vicenda di Claudio de Magistris tiene banco da due anni: di professione organizzatore d’eventi, eminenza grigia della campagna elettorale, il suo ruolo è stato da subito fonte di polemiche e di accuse di familismo amorale, sempre respinte con forza dal primo cittadino: de Magistris jr. non è solo un parente ma il più fedele dei collaboratori. Nella vicenda della Coppa America questa storia ha tuttavia rappresentato un notevole punto di debolezza per la maggioranza arancione e il suo leader. E lo stesso è avvenuto nella vicenda del Forum universale delle culture, ricevuto in eredità della precedente amministrazione. Annunciata come una grande vetrina internazionale, la kermesse si è via via ridotta nel programma e nelle aspettative, complice la crisi economica. Il coup de théâtre di Luigi de Magistris, appena eletto, fu quello di nominare il cantautore Roberto Vecchioni a capo della Fondazione incaricata di sovrintendere al Forum. Vecchioni dopo qualche mese è scappato via. Come lui anche il produttore Andres Neumann e molti altri. Motivo: impossibile assicurare il cartellone di un evento che inizialmente doveva essere finanziato con 250 milioni di euro ed è finito invece con una disponibilità di 16 milioni in cassa. La data di inizio è stata via via spostata: da marzo a luglio a novembre 2013 e il sito internet dedicato all’argomento è il termometro dell’imbarazzo comunale: «In manutenzione», si legge.
Paolo Macry, docente di Storia contemporanea alla Federico II ed editorialista del Corriere del Mezzogiorno, attento osservatore delle dinamiche politiche cittadine, definisce l’intera esperienza di governo «frutto di improvvisazione». «Ha provato a creare collegamenti con pezzi della società cittadina, con gli industriali come coi movimenti ma sono sembrate cose improvvisate, dove non aveva carte da giocarsi. È un caso eclatante di personalizzazione della politica col piccolo particolare che la leadership politica era improvvisata, non era forte. Non è stato capace di creare un sistema di alleanze consiliari e politiche. Sicuramente», continua Macry, «una delle debolezze è stata che non aveva un euro da spendere. Ha sopperito alla mancanza di risorse vendendo la Fontana di Trevi, alla Totò. Mi riferisco alla bellezza del lungomare, ai Grandi eventi… Però anche in questo caso si è trattato di qualcosa d’effimero; non di un uso ma di un abuso delle risorse ambientali. Del resto basta pensare alle proteste che questi eventi hanno generato in città».
Analizzando le sortite notturne su Twitter – a quell’orario non opera lo staff ma de Magistris in persona – notiamo che il sindaco «scassatutto» pigia sul pedale dell’indignazione e della ribellione del popolo contro i pluricitati poteri forti, le massomafie, la tecnocrazia e il centralismo di Stato. L’azione amministrativa non è però coerente con queste idee-spot. Due esempi su tutti: quello di Alfredo Romeo e quello di Marilù Faraone Mennella. Romeo per oltre vent’anni con la sua società di servizi ha gestito il patrimonio immobiliare del comune. Da giudice, Luigi de Magistris ne confermò l’arresto nell’ambito di un’inchiesta sulla manutenzione delle strade che azzerò la seconda giunta Iervolino. Da candidato fece chiaramente capire che per Romeo non ci sarebbe stato spazio nel suo comune. Una volta sindaco, invece, è dovuto addivenire a più miti consigli. Ha accettato di firmare una transazione milionaria che prevedeva nel pacchetto anche un progetto (a totale finanziamento privato) per la riqualificazione dell’area nella quale insiste proprio l’albergo di Romeo, un cinque stelle che affaccia sul porto, a due passi da palazzo San Giacomo, in uno stabile di proprietà d’un altro sindaco, Achille Lauro. Con Marilù Faraone Mennella il discorso è diverso. Moglie dell’ex presidente di Confindustria Antonio D’Amato, la donna insieme al consorte, attraverso l’Udc, ha fortemente sostenuto al secondo turno delle amministrative la lista arancione contro il candidato di centro-destra, l’imprenditore Gianni Lettieri. Faraone Mennella è però anche a capo della cordata di imprenditori del progetto immobiliare «Naplest», che sta costruendo un vasto insediamento residenziale nella zona orientale del capoluogo. Nelle ultime settimane l’imprenditrice è incappata in due diverse inchieste della procura di Napoli. La prima per «dichiarazione infedele» e «dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti» con un sequestro preventivo di beni pari a 5,5 milioni di euro; la seconda che invece tira in ballo un pezzo grosso della giunta, il vicesindaco Tommaso Sodano. Il numero due di palazzo San Giacomo è indagato con lei per corruzione. L’ipotesi dei magistrati è l’esistenza di un presunto accordo sottobanco per favorire l’imprenditrice nella realizzazione del nuovo stadio di calcio, sempre a Napoli Est. Una vicenda che sta provocando non pochi imbarazzi in comune. Sodano non si è dimesso. Ciò nonostante di recente sia stato anche condannato per l’aggressione di una vigilessa (episodio avvenuto nel 2007) e sia attualmente indagato per l’assegnazione di una consulenza al comune di Napoli. L’ex senatore di Rifondazione comunista è considerato un intoccabile: fa parte dei fedelissimi del sindaco. A differenza della sua ex collega di giunta, Pina Tommasielli, che invece poche settimane fa ha dovuto far fagotto. Il motivo? È accusata dalla procura di aver favorito suoi parenti, facendo rimuovere alcune contravvenzioni stradali elevate sul territorio cittadino.
È difficile dare una lettura definitiva e omogenea di tanti epifenomeni, perché da Bagnoli, speranza delusa di un riscatto postindustriale, a un centro storico folgorante e decadente, Napoli appare priva di prospettiva, imbavagliata come un’installazione di Christo. Nelle ultime settimane, poi, ha cominciato a farsi sentire, in città, la nostalgia di esperienze che nel 2011 le urne sembravano avere condannato: l’ex sindaco e governatore Antonio Bassolino si è ripreso la scena politica non risparmiando stoccate all’attuale inquilino del municipio; per Paolo Macry il suo ritorno è «chiaro termometro dell’insuccesso di Luigi de Magistris». Sarà allora perché Napoli dimostra ancora una volta di avere un grande stomaco, capace di digerire tutto, condendolo con uno storicismo autoassolutorio, ma nella città dei corsi e ricorsi vichiani, mai come ora appare attuale guardare al passato. Alle parole di Valenzi, ad esempio, che poco prima che la sua amministrazione cadesse asserì di aver capito una cosa importante sulla città e sul suo governo: «Non si può amministrare Napoli da un solo palazzo».
(13 dicembre 2013)
EDIT
Aggiungiamo, prendendo l'intervento di un compagno nei commenti, la risposta di De Magistris, che magari discuteremo nei commenti.
Credo che sia bene che il post resti anche domani per eventuali possibili spunti o valutazioni. A seconda dell'andamento della discussione, domani vedremo il da farsi.
da http://temi.repubblica.it/micromega-online/de-magistris-senza-un-soldo-in-cassa-ma-napoli-sta-cambiando/

“Il mio mandato? Sono anch’io autocritico. E’ un problema di oggettive difficoltà: le casse comunali sono vuote. Ma molto è stato fatto ed ho ancora due anni di tempo per attuare le promesse elettorali”. Luigi De Magistris, sindaco di Napoli, è lettore di MicroMega da quando è sedicenne: non gli è sfuggito l’ultimo numero della rivista e la sezione dedicata alle “Rivoluzioni tradite”. Un reportage di Giuseppe Manzo e Ciro Pellegrino dal titolo “Scassanapoli” raccontava i guai della città e i limiti della governance di Giggino. “Non ho problemi coi cronisti campani né con loro due in particolare – spiega De Magistris – Vorrei solo che la stampa raccontasse anche il bello della città. A volte, a leggere i giornali, sembra descrivano Baghdad”.
Sindaco, ha il diritto di replica. Napoli non sarà Baghdad, però il problema della monnezza appare ancora irrisolto. Non trova?
Ho ereditato dalle giunte precedenti una situazione drammatica. Una volta sindaco ho trovato 2000-2500 tonnellate di rifiuti per strada. L’emergenza adesso non esiste. Abbiamo portato la raccolta differenziata dal 16 al 30 per cento, pianificato la raccolta porta a porta per 500mila abitanti (un terzo della popolazione partenopea), aumentato le isole ecologiche. Ci siamo opposti ad un nuovo inceneritore favorendo un eco distretto ed è partito un bando per un primo impianto di compostaggio per 30mila tonnellate di rifiuti. Inoltre abbiamo eliminato esternalizzazioni e appalti contrastando così l’infiltrazione della camorra. Certo lo “spazzamento” delle strade è migliorabile e il percorso intrapreso è tutt’altro che definitivo. I problemi restano ma, rispetto al passato, abbiamo attuato una rivoluzione.
E che mi dice dei tagli alle politiche sociali?
Non c’è stato alcun taglio. Le amministrazioni locali con la spending review del governo Monti hanno subito una mannaia con una conseguente mancanza di risorse liquide. Abbiamo lo stesso mantenuto le spese sociali. A Napoli i creditori, come gli operatori sociali, prima venivano pagati a 4 anni di distanza, con me il tempo si è ridotto ad un anno e mezzo. L’obiettivo è arrivare a 90 giorni. Pure qui avremmo voluto fare meglio però con le limitate risorse a disposizione...
E’ stato accusato di Parentopoli. Considerando che non vi è niente di illegale, la nomina di suo fratello Claudio non la considera alquanto inopportuna?
Sono accuse ingenerose per un hombre vertical come me: mi sono dimesso da magistrato un mese prima di ottenere la pensione. Mia moglie, per seguirmi a Napoli, è rimasta disoccupata. Vivo con l’indennizzo da primo cittadino. Quindi non accetto una campagna costruita su accuse di natura morale e insinuazioni di familiarismo. Per mesi ho subito una campagna denigratoria sui giornali per la vicenda di mio fratello Claudio senza che fosse stato assunto. Pur potendolo nominare, non ha percepito un euro dal Comune. E’ un professionista, una persona di cui mi fido, mi ha aiutato a titolo gratuito. Sono stato accusato di aver “piazzato” amici in posti chiave: un magistrato e due valide persone appartenenti alle forze dell’ordine. Parliamo di persone di primissimo livello e con grande competenza. Non mi pare di aver nominato camorristi o gente indicata da lobby o partiti.
Lei spesso pone il problema dei pochi soldi in cassa. Ma quando è diventato sindaco non era a conoscenza dei bilanci (che sono pubblici)?
I bilanci non erano noti. Esisteva un debito di un miliardo e mezzo di cui non si sapeva nulla. Una fotografia tragica per le casse di un Comune: un’azienda pubblica fallita e operazioni ai limiti del consentito. Abbiamo attuato da subito un’Operazione verità sui conti per raccontare ai cittadini le enormi difficoltà.
Non crede che sta venendo meno alle promesse fatte in campagna elettorale?
Abbiamo preso degli impegni e il bilancio si fa dopo 5 anni. Certo avessi saputo dei disastri economici che avrei ereditato dalle giunte precedenti, sarei stato più cauto coi proclami: non avrei parlato di raccolta differenziata al 70 per cento in pochi mesi! Non ci sono promesse elettorali che abbiamo tralasciato. Al massimo abbiamo trascurato la democrazia partecipativa, ma siamo stati schiacciati da emergenze quotidiane.
Non aveva promesso di chiudere Equitalia?
Non era nel mio programma elettorale. Sollecitato da un giornalista, avevo attaccato gli atteggiamenti a volte disumani di Equitalia di fronte alla forte crisi economica. Ma mai promesso una sua chiusura.
Lei è crollato nei sondaggi di gradimento sui sindaci. Prima era al top, ora in coda. Come se lo spiega?
“E’ più difficile governare Napoli che New York” mi ha detto l’ambasciatore americano. E soprattutto – lo ribadisco ancora una volta - amministro senza soldi. Normale sia calato rispetto al plebiscito della campagna elettorale. Poi forse ho pagato lo scotto di aver sostenuto una lista alle politiche (Rivoluzione Civile di Ingroia, ndr). Sono consapevole ci sia gente delusa, io pure sono autocritico: non riesco a coprire tutte le buche per strada o a far funzionare gli autobus come vorrei.
Ritiene che in due anni e mezzo la sua giunta si sia indebolita? Perché a metà mandato c'è una parte di suo elettorato che addirittura rimpiange i suoi predecessori? Realfonzo, Narducci, Raphael Rossi: possibile che in tutti i casi lei aveva ragione e loro torto ad andare via?
Adesso ho la giunta più forte e prima di Natale nominerò il nuovo assessore, una donna, al posto della dimissionaria Giuseppina Tommasielli. Non ho partiti alle spalle, non vengo da anni di politica nelle istituzioni e non avevo una “mia” squadra, normale che in questi mesi abbia cambiato per trovare il giusto assetto. Non drammatizzerei. Alcuni ex assessori non si sono rivelati all’altezza, altri non hanno retto la tensione nervosa di amministrare una città complessa come Napoli. Non mi sento più debole: ho perso il sostegno di qualche consigliere ma mantengo una maggioranza di 30 consiglieri su 48. E i miei interlocutori rimangono i cittadini.
Lei è uomo di legge. Non è messo in difficoltà dall’inchiesta che vede coinvolti il vicesindaco Sodano e l'imprenditrice Faraone Mennella?
Chi amministra in evidente rottura di equilibri consolidati, chi compie scelte coraggiose contro i poteri forti, chi punta sul pubblico nell’era delle privatizzazioni selvagge, viene ostacolato ed è oggetto di esposti da parte dei detrattori. Dinanzi agli esposti la magistratura ha l’obbligo di procedere. Quindi accetto il procedimento. Allo stesso tempo la politica non si deve far condizionare da accertamenti e avvisi di garanzia che non sono una condanna. Nel caso specifico escludo rapporti di favoreggiamento tra Sodano e Mennella. Verso i miei collaboratori ripongo fiducia se poi invece la giustizia dovesse accertare responsabilità, sarei il primo ad avere atteggiamenti netti: come per il caso dell’ex assessore Tommasielli, ho preferito facesse un passo indietro per i connotati politico-mediatici sgradevoli della vicenda.
Su Scampia, a poche ore della chiusura elettorale lei diceva "gli ultimi saranno i primi, prenderò impegno per edilizia residenziale e impegno civile e umano". Due anni e mezzo dopo le Vele ci sono ancora e le promesse per quel luogo di degrado - lo dicono i cittadini - sono rimaste sulla carta. Perché?
In verità abbiamo intrapreso molte iniziative per l’impegno civile e umano. Ed è già stata formalizzata la decisione di abbattimento delle Vele quindi entro la fine del mio mandato almeno una parte verrà demolita. Oltre all’abbattimento siamo lavorando per un progetto di riqualificazione dell’area.
Parla spesso di crociata contro i poteri forti entrando in conflitto anche con la stampa locale…
Sono un sindaco autonomo, indipendente e controcorrente: in difesa dell’acqua pubblica, per la pubblicizzazione del patrimonio immobiliare, fautore di una holding del trasporto pubblico. E la stampa non è amica. Vorrei che di Napoli si raccontassero anche gli aspetti positivi, tante storie non vengono narrate: siamo, ad esempio, la città con l’aumento maggiore di visite turistiche. Questo anche grazie all’organizzazione di grandi eventi come la Coppa America di vela, la Coppa Davis e il Giro d’Italia. La nostra azione quotidiana resta comunque focalizzata sulle condizioni di vita nei quartieri più difficili.
(13 dicembre 2013)