da http://www.senzasoste.it/nazionale/c-era-una-volta-la-finanza-pubblica
Qualche settimana fa a Livorno c'è stato un interessante dibattito sul ruolo della finanza pubblica e sociale con Marco Bersani, uno dei responsabili dell'associazione “Attac Italia”. Le sue parole per introdurre il problema di una finanza pubblica ormai scomparsa sono state chiare: “Quando vado in giro a parlare di acqua pubblica, rifiuti, servizi pubblici e incontro qualche candidato sindaco alternativo al blocco di potere al governo gli dico sempre che il suo programma dovrebbe avere un solo punto, quello dell'allentamento del patto di stabilità e una lotta per poter accedere a strumenti pubblici di credito, sennò tutto quello che va dal punto 2 del programma in poi è solo una bugia”. Uno dei punti nodali per questo ragionamento è il ruolo della Cassa Depositi e Prestiti (CDP), nata nel 1850 come ente dello Stato, la cui funzione fino al 2003 è stata quella di raccogliere il risparmio postale dei cittadini e di utilizzarlo per il finanziamento a tassi agevolati degli investimenti degli enti locali. Infatti, ogni struttura statale ha da sempre avuto la necessità di finanziare con prestiti a lungo termine le sue stesse amministrazioni pubbliche in maniera agevolata, visto l’interesse generale nell’effettuare investimenti pubblici di lungo termine.
La Cassa Depositi e Prestiti era lo strumento con cui gli enti locali potevano finanziare opere e progetti. Dal 2003 è stata privatizzata. 225 miliardi di euro nostri che non hanno più una finalità pubblica ma solo quella di ingrassare le fondazioni bancarie

Nel 2003 è stata trasformata in una SpA con 70% del capitale detenuto dal Ministero del Tesoro e 30% detenuto da 66 fondazioni bancarie. Da allora il suo raggio d’azione si è ampliato fino a farla intervenire in tutti i settori della politica economica del paese e su tutto il mercato finanziario internazionale.
Dopo questa trasformazione qualsiasi investimento fatto da CDP deve avere come scopo principale quello di produrre utili per gli azionisti. Sparisce quindi ogni finalità pubblica, nonostante l’art. 10 del D.M. Economia del 6/10/04 definisca i suoi finanziamenti “servizi di interesse economico generale”.
Questo ha comportato il fatto che, mentre il risparmio collocato dai cittadini in posta viene remunerato con l’1,5%, le fondazioni bancarie ogni anno portano a casa utili superiori al 10%.
Ma la cosa più devastante è che il finanziamento degli investimenti degli enti locali non è più fatto a tassi agevolati, bensì a tassi di mercato, con l’effetto di spingere gli stessi a cercare finanziamenti direttamente dalle banche, moltiplicando il proprio indebitamento. Oggi i mutui della CDP sono erogati ad un tasso che oscilla tra il 5 ed il 5,5%.
Ecco perchè attualmente gli enti locali e le società partecipate che si occupano di servizi pubblici fondamentali (acqua, rifiuti o trasporti) sono alla mercè delle banche e dei loro prestiti nella migliore delle ipotesi, quando cioè non hanno in “pancia” prodotti finanziari ad alto rischio (come i famosi derivati) che alla loro scadenza creano buchi di bilancio giganteschi. Non è un caso che, come scrivemmo nel 2008 dopo la rielezione di Cosimi, a Livorno il Monte dei Paschi avesse due suoi uomini in giunta oltre che il presidente di Asa.
Siamo di fronte però anche a un problema di democrazia e interesse pubblico. Se l’unità di misura delle scelte di investimento è la redditività economica delle stesse, viene a crearsi una voragine di democrazia e interesse pubblico. Se infatti per 150 anni la destinazione al finanziamento degli investimenti degli enti locali territoriali era scontata, con la trasformazione della CDP in SpA nasce una questione ineludibile di democrazia partecipativa: i lavoratori e i cittadini devono avere voce sulla destinazione dei soldi prestati e partecipare all’indirizzo delle scelte sugli investimenti da intraprendere, ad esempio ponendo vincoli di destinazione a finalità sociali ed ambientali degli stessi. Anche perchè stiamo parlando di una “banca” che raccoglie il risparmio postale di oltre12 milioni di famiglie di cittadini e lavoratori, che ammonta a 225 miliardi di euro. Per capirne la dimensione, basti pensare che il valore dell’insieme di tutte le banche private del nostro Paese non supera i 60 miliardi di euro.
Ecco, chiunque nel presente o nel futuro vorrà parlare di enti pubblici, di servizi, di utilità pubblica e di programmazione dei territori non può eludere questa questione. Il resto sarebbero solo bugie.
Franco Marino
tratto da Senza Soste n.83 (maggio-giugno 2013)