Nel computo dei pianeti che servirebbero, per far media, ci sono Paesi poverissimi a cui 'basterebbe' (virgoletto la parola, perchè, vista la povertà, la fame, la malnutrizione, diciamo che se lo fanno bastare per forza) mezzo pianeta o meno per tirare avanti.
E pure da qui si legge l'essenza del capitalismo: come all'interno di ogni società i pochi ricchi sottraggono ricchezza sociale al lavoro dei molti, a livello planetario il benessere di una parte del mondo (che vuol dire altissimo benessere per pochissimi e impoverimento di altri, ma comunque sempre nettamente superiore a quello dei poveri dei Paesi poveri), quella parte che consuma, richiede la miseria di altre sue parti, quelle che hanno le grandi riserve naturali per produrre.
E probabilmente, se questo impatto non stesse bruciando le risorse del Pianeta (che vuol dire materie prime ed energia per produrre) e inquinando per tutti, anche per i ricchi del mondo, a nessuno sarebbe interessato tutto questo.
E sappiamo anche che questa voracità è la drammatica tendenza intrinseca all'instabilità della sovrapproduzione e della caduta tendenziale del saggio di profitto, che richiede un aumento della massa di profitti per supplire al calo di guadagno sul singolo pezzo, generando, come un circolo vizioso, altra sovrapproduzione e creando stallo economico, e, ai livelli in cui siamo, disastro ambientale.
Ed ecco il nodo: internamente al capitalismo, si possono fare tutte le proposte intelligenti che si vogliono, ma non si potrà mai ragionare su come costruire rapporti di forza tali da imporre al Capitale certe scelte. Ma in fin dei conti questo non lo vuole nemmeno il capitalismo 'ecologista', perchè vorrebbe dire costruire una mobilitazione sociale e politica che, andando all'approfondimento teorico, capirebbe che è impossibile un capitalismo green (se non come fenomeno minoritario rispetto ai vertici dell'organizzazione della produzione) per la necessità stessa del Capitale di esponenzializzarsi, pena la perdita della supremazia concorrenziale. E questo, il capitalismo verde non può ammetterlo a se stesso.
da https://ilmanifesto.it/sfruttamento-senza-freni-la-natura-sempre-piu-a-rischio/

È arrivato anche quest’anno, con tre giorni in anticipo rispetto al 2018, l’Earth Overshoot Day. Significa che l’umanità ha consumato in meno di 7 mesi il budget di risorse naturali che il nostro pianeta ci ha messo a disposizione per l’intero 2019. Per la prima volta, la data cade nel mese di luglio, il 29. Significa, in pratica, che secondo i calcoli del Global Footprint Network – un’organizzazione internazionale sulla sostenibilità, che sta lavorando per reagire agli effetti del cambiamento climatico – l’umanità sta usando attualmente la natura 1,75 volte più velocemente di quanto gli ecosistemi del nostro Pianeta siamo in grado di rigenerare.
IL SOVRASFRUTTAMENTO, però, è possibile solo a una condizione: non teniamo conto del fatto che stiamo esaurendo il nostro capitale naturale, fatto che compromette la sicurezza delle risorse future dell’umanità: i «costi» di questa sovraspesa ecologica globale, del modello di vita occidentale, in particolare, stanno diventando sempre più evidenti sotto forma di deforestazione, erosione del suolo, perdita di biodiversità o accumulo di anidride carbonica nell’atmosfera. Quest’ultimo aspetto, poi, porta diretto al cambiamento climatico e agli eventi meteorologici estremi più frequenti (come dimostrano anche le ondate di calore dell’ultima settimana di luglio, che già si erano registrate in tutta Italia anche nell’ultima settimana di giugno) .
«ABBIAMO SOLO UNA TERRA: questo è il contesto che inquadra in definitiva l’esistenza umana. Non possiamo usare risorse pari a quelle di 1,75 pianeti Terra senza conseguenze distruttive», ha commentato Mathis Wackernagel, fondatore della Global Footprint Network e co-inventore della contabilità dell’impronta ecologica. Il dato offerto è, peraltro, quello medio, perché se si trattasse dell’Italia, sarebbero necessari 4,7 Paesi pari al nostro per rispondere alla domanda di risorse dei suoi cittadini, mentre a livello globale servirebbero ben 5 «Terre» se tutti usassero risorse come i cittadini degli Stati Uniti d’America, 4,1 se fossero tutti australiani, 3 se fossero tutti tedeschi.
SECONDO IL GLOBAL Footprint Network, «l’umanità alla fine dovrà operare nel rispetto delle risorse ecologiche della Terra, indipendentemente dal fatto che l’equilibrio sia ripristinato da disastri ambientali o da un approccio razionale».
Secondo Wackernagel, «le aziende e i Paesi che comprendono e gestiscono la realtà dell’operare in un contesto planetario sono in una posizione molto migliore per affrontare le sfide del Ventunesimo secolo».
L’esigenza è una sola: spostare all’indietro la data del Earth Overshoot Day. Se lo facessimo di 5 giorni all’anno, questo consentirebbe all’umanità di raggiungere l’equilibrio con le risorse prodotte dal nostro Pianeta – un equilibrio perso nel 1969 – entro il 2050.
Global Footprint Network ha calcolato soluzione disponibili e finanziariamente vantaggiose, lanciao una campagna – si chiama #MoveTheDate – che tocca cinque settori chiave: le città, l’approvvigionamento di energia, la produzione di cibo, la popolazione e l’uso delle risorse pianeta. Basterebbe, ad esempio, ridurre del 50% le emissioni di CO2 derivanti dalla combustione di combustibili fossili per #MoveTheDate di ben 93 giorni, pari a 3 mesi.
CHRISTIANA FIGUERES, ex segretario esecutivo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), Bertrand Piccard, fondatore della Fondazione Solar Impulse e Sandrine Dixson-Declѐve, co-presidente del Club di Roma, sono tra coloro che nelle ultime settimane hanno fatto appelli per #MoveTheDate.
IL GLOBAL FOOTPRINT Network ha lanciato una #MoveTheDate Solutions Map, che permette agli utenti di connettersi tra loro – sulla base della posizione geografica e del focus di interesse – accelerando l’implementazione di nuovi progetti nel mondo reale.
Che siamo al punto di non ritorno lo ha detto anche l’astronauta Luca Parmitano, nel primo collegamento con i giornalisti dalla Stazione Spaziale Internazionale, organizzato dall’Agenzia Spaziale Europea (Esa) presso il Museo della Scienza e Tecnica di Milano: «Negli ultimi 6 anni ho visto deserti avanzare e ghiacci sciogliersi, spero che le nostre parole possano allarmare davvero verso il nemico numero uno di oggi».
Che siamo al punto di non ritorno lo ha detto anche l’astronauta Luca Parmitano, nel primo collegamento con i giornalisti dalla Stazione Spaziale Internazionale, organizzato dall’Agenzia Spaziale Europea (Esa) presso il Museo della Scienza e Tecnica di Milano: «Negli ultimi 6 anni ho visto deserti avanzare e ghiacci sciogliersi, spero che le nostre parole possano allarmare davvero verso il nemico numero uno di oggi».