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Le repubbliche

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di PIERLUIGI SULLO
E così domenica si torna a votare – o a non votare – in una serie di città grandi e piccole. Dopo il trauma delle elezioni politiche – il successo dei 5 Stelle, l’aumento dell’astensione, l’inesistenza di una maggioranza in parlamento, il bis di Napolitano e il governo “delle larghe intese” – vi è una grande curiosità di vedere se l’elettorato confermerà o smentirà, e in che misura, il risultato delle politiche. Se i “grillini” si confermeranno, se è vero che il partito di Berlusconi va fortissimo, se il Pd riuscirà a restare a galla, ecc. Punto di vista sbagliato. La sola domanda da farsi è: quanto è irreversibile la crisi della democrazia rappresentativa? E di conseguenza: si troveranno, nei voti di Roma o di Messina, di Pisa o di Ancona, e così via, tracce, germogli di qualcos’altro, cioè di una nuova capacità di autogovernarsi, dopo il funerale dei partiti? E le risposte, come al solito, non solo non si trovano nei sondaggi, ma saranno difficili da rintracciare anche nelle percentuali di voto ottenuti da ciascun candidato sindaco. Perché la confusione è grande e perché il mercato della politica tende – come ogni mercato – a produrre monopoli, o cartelli tra monopoli, e quindi esclusione di chi va a cercare voti (clienti) con scarso denaro, subendo le cattive abitudini e la vera e propria censura da parte di media, con simboli o “loghi” improvvisati. Peggio ancora: con il riflesso condizionato, dentro la testa (di sinistra), per il quale la prova dell’esistenza di un uno “schieramento politico” è la percentuale di voti.
Si dà il caso però che quel che c’è di nuovo, in molte delle elezioni comunali di domenica, non siano “schieramenti politici”, frutto di “partiti”, ma qualcosa di talmente diverso che ai loro stessi promotori mancano quasi le parole per definirsi. Sandro Medici, candidato a Roma della Repubblica Romana, ha detto una bella cosa, l’altra sera, al concerto che ha di fatto concluso la sua campagna elettorale: “La Repubblica Romana – ha detto dal palco – esisteva già”. Voleva dire: associazioni, comitati, movimenti locali o tematici, gruppi dell’economia solidale, ciclisti e femministe, occupanti di teatri e occupanti di case, che hanno animato la sua candidatura a sindaco sono già un altro modo pratico di autogovernare la città. Per pezzi e ad intermittenza, apparentemente in monoranza nella palude della rassegnazione e del conformismo, ma virtualmente in grado di federarsi e di creare così la “repubblica”.
Questa è una parola chiave, per le liste di questo tipo, così come “beni comuni”, o “in comune”, o “solidale”. Probabilmente i loro candidati non diventeranno sindaci, a meno di miracoli. Però hanno già creato un effetto: i partiti screditati, che giocano la loro eterna partita di “stock exchange” di pacchi di voti, non se ne rendono conto, mentre i 5 Stelle, che pensavano di “avere l’esclusiva”, come diceva uno spot pubblicitario di qualche anno fa, vedono bene: qualcosa di profondo si è smosso. Mescolando vecchio e nuovo, intanto, visto che ad esempio il candidato sindaco di Ancona viene da Sel, e la candidata di Siena è una dissidente di Sel, mentre il candidato di Pisa si giova, così come quello di Roma, dell’appoggio della lista di Rifondazione comunista, mentre altrove si tratta di iniziative del tutto esterne ai partiti, anche quelli di sinistra. I quali, in ogni caso, sconfitti alle ultime poltiiche e a quelle precedenti, restano marginali. Sono i media a ricorrere a questa categoria per mancanza di aprole e di fantasia, proprio come una dozzina di anni fa definivano il movimento di Genova e dei forum sociali “no global” o “autonomo”.
Elio Germano, attore, che ha organizzato il concerto per Sandro Medici (“Sandro subito”, il migliore slogan della campagna, già allegra e un po’ beffarda di suo), ha a sua volta detto una cosa illuminante in una intervista ad Huffington Post (http://www.democraziakmzero.org/2013/05/21/niente-eroi-una-repubblica/): “Nei movimenti – ha spiegato – ormai non esistono le etichette e le adesioni per etichette. Esistono le singole persone che fanno battaglie insieme. Poi politicamente ognuno è libero di scegliere. Nella ‘politica alta’ si discute ancora di destra e sinistra, ma il vero discrimine che vedo è tra chi pensa che la soluzione sia nelle possibilità di sviluppare i propri interessi e chi pensa che si debba fare di tutto per sviluppare un interesse collettivo. Nella politica delle piccole battaglie concrete il discrimine è nella singola persona: tra chi sceglie di eliminare un privilegio e chi no”.
Quella in corso, in vari modi e paesi e momenti, è, ha detto Manuel Castells, il massimo analista di internet, “una rivoluzione di persone”. Perché non solo si tratta di spogliarsi dei vecchi abiti, ma perché ripartire dalle persone, dalla loro vita reale, è la premessa per riconnettere tutti, cercando un altro modo di offrire a ciascuno la possibilità di decidere, in una comunità. In una repubblica.
In fondo, il nostro è un paese di repubbliche (leggete l’articolo di Lanfranco Caminiti in questo sito: http://www.democraziakmzero.org/2013/05/19/repubbliche-brevi/). Quando Sandro propose di chiamare la sua lista “Repubblica Romana”, a me pareva prevalesse il tono risorgimentale dell’espressione. Poi mi venne in mente che lo stesso Lafranco Caminiti aveva creato un periodico on line, qualche anno fa, che si chiamava appunto “Repubblica Romana” (e il nome, il dominio, del sito della lista che appoggia Sandro Medici è stato da Lanfranco gentilmente ceduto). Pisa e Siena, dove pure esistono liste per l’autogoverno (le chiamerei così, provvisoriamente) hanno una antica storia repubblicana. Esistevano la Repubblica di Firenze, quella di Genova, di Venezia… Ora “repubblica” allude alla “democrazia radicale”, come la chiama Gustavo Esteva, messicano osservatore di movimenti indigeni come quello zapatista, o alla “democrazia insorgente” di cui scrive il filosofo francese Miguel Abensour (ispiratore di Democrazia km zero, tra altri). Cioè una democrazia di persone appunto, che esita a farsi “istituzione” e se lo fa è per negare subito dopo la burocrazia e la separazione della funzione di governo. E che per avvicinarsi a questo obiettivo è per sua natura locale, municipale, comunitaria, fatta di gruppi che si incontrano fisicamente – e non solo nel web. Sapendo, poi, che “locale”, nella modernità, è la premessa necessaria del globale, o viceversa.
La situazione è deprimente, per moltissime ragioni. La crisi perfetta (sociale ed economica, ambientale e finanziaria, democratica) morde più profondamente di quanto dicano le statistiche sui redditi e sulla disoccupazione: aggredisce la volontà, la voglia di vivere, la speranza. La nostra è una società depressa, abulica, che ha la tentazione di fuggire altrove, ciò che molti fanno, anche se la globalizzazione non regala molti “altrove” promettenti. Sarebbe un peccato se le probabilmente modeste percentuali di voto che le liste e i candidati sindaci per l’autogoverno, le liste delle repubbliche, provocassero ulteriori disillusioni. Il mondo non comincia e non finisce nel seggio elettorale, anzi lì entriamo in una realtà parallela dove le leggi della natura vengono distorte e la gravità funziona all’opposto. Già l’esistenza di questi candidati è un indizio molto importante, significa che idee e voglia di fare fermentano, che i nuovi linguaggi cominciano a comunicare, che le persone possono – nonostante tutto – progettare di stare insieme non solo in un centro commerciale. Dirò di più: la Repubblica Romana, come le altre, inizierà a vivere dopo le elezioni. E comunque, chissà, per una volta potrebbe anche andare bene.

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