In relazione alla morte di Sandrine Bakayoko e alla conseguente sollevazione, riportiamo due articoli da due testate di diversa impostazione politica che convergono decisamente su alcuni punti
da http://www.internazionale.it/notizie/2017/01/04/conetta-migranti-venezia-cona

Sandrine Bakayoko era una ragazza della Costa d’Avorio, aveva 25 anni. Era arrivata in Italia nel settembre del 2016 ed era in attesa dell’esito della sua richiesta d’asilo. È morta per una trombosi polmonare il 2 gennaio mentre si trovava nei bagni del centro di prima accoglienza di Conetta, un’ex base militare in provincia di Venezia, dove Bakayoko risiedeva insieme ad altre 1.300 persone.
A dare l’allarme il suo compagno, che l’ha trovata in fin di vita dopo che era stata colpita dal malore. La morte della ragazza ha scatenato una protesta dei richiedenti asilo ospitati nel centro di accoglienza, che accusano i gestori di aver chiamato i soccorsi in ritardo. Secondo i testimoni, infatti, la ragazza si è sentita male intorno alle 7, ma i soccorsi sono arrivati solo diverse ore dopo.
In una nota, però, l’ospedale di Piove di Sacco ha detto che i mezzi di soccorso sono partiti subito dopo aver ricevuto la chiamata. Gli operatori del centro, spaventati dalle proteste, si sono barricati in un container e negli uffici amministrativi della struttura. La protesta è durata diverse ore, 25 operatori sono rimasti chiusi nel centro fino alle 2 di notte del 3 gennaio, quando la crisi si è risolta con la mediazione delle forze dell’ordine.
La morte di Sandrine Bakayoko e le proteste dei richiedenti asilo hanno sollevato molte polemiche. C’è chi ha usato questo drammatico episodio per chiedere l’espulsione dei migranti e politiche migratorie ancora più restrittive.
Molti invece hanno puntato il dito contro il sistema di accoglienza italiano ancora dominato dalla logica dell’emergenza, nonostante il flusso di arrivi di migranti sulle nostre coste sia costante da anni. Il trasferimento dei richiedenti asilo nei centri di prima accoglienza è gestito dalle prefetture e dai vertici del ministero dell’interno, sulla base della disponibilità dei posti nelle diverse regioni italiane.
In questo meccanismo che tiene conto solo dei numeri, i prefetti finiscono per preferire alberghi, caserme e tendopoli, invece di strutture medio piccole, che consentirebbero una gestione più accurata e maggiori controlli. Questo sistema, regolato con appalti da decine di milioni di euro all’anno, finisce per favorire grandi cooperative e aziende di assistenza che si accaparrano molti appalti, spesso a scapito della qualità dei servizi.
Denunce inascoltate
In una pagina Facebook, un ospite del centro di prima accoglienza di Conetta denunciava da tempo le condizioni di vita disumane del campo allestito in una ex base missilistica dismessa, circondato da filo spinato e da vecchie strutture militari, in cui i dormitori erano stati costruiti all’interno di tensostrutture temporanee in cui venivano ammassate le brande per dormire. A Conetta c’erano già state delle proteste in passato da parte dei migranti che si lamentavano della mancanza di docce, dei servizi igienici e della scarsità dei pasti. Una delegazione della campagna LasciateCIEentrare aveva visitato il centro nel giugno del 2016 e lo aveva descritto così:
In una pagina Facebook, un ospite del centro di prima accoglienza di Conetta denunciava da tempo le condizioni di vita disumane del campo allestito in una ex base missilistica dismessa, circondato da filo spinato e da vecchie strutture militari, in cui i dormitori erano stati costruiti all’interno di tensostrutture temporanee in cui venivano ammassate le brande per dormire. A Conetta c’erano già state delle proteste in passato da parte dei migranti che si lamentavano della mancanza di docce, dei servizi igienici e della scarsità dei pasti. Una delegazione della campagna LasciateCIEentrare aveva visitato il centro nel giugno del 2016 e lo aveva descritto così:
Il centro si trova a Conetta, un piccolo borgo in cui non ci sono servizi né spazi sociali, una tendopoli nel nulla. Alle tende si alternano casolari con letti a castello in stanze stracolme.
Le condizioni preoccupanti del centro erano state oggetto diun’interrogazione del parlamentare di Sel Giovanni Paglia nel novembre del 2016, rivolta all’allora ministro dell’interno Angelino Alfano. Nell’interrogazione Paglia descriveva “condizioni di soggiorno difficilmente compatibili con la parola accoglienza” e avvertiva che “una simile situazione potrebbe degenerare in qualsiasi momento”. Ecco cosa era scritto nell’interrogazione:
Il numero dei richiedenti asilo attualmente ospitati nell’ex base militare è ormai giunto a 1.256 unità;
le condizioni di alloggio, limitate di fatto a tende di diverse dimensioni, sono caratterizzate da sovraffollamento e condizioni ambientali estremamente disagiate. Le sette tende circondano l’intera base. Si va dalla tensostruttura più grande di 1.500 metri quadrati a quella più piccola da 340. Nella prima ci vivono in 400, la situazione più problematica è in una di quelle da 500 che accoglie 340 persone; si registra l’inadeguatezza dei servizi di mensa, che, ad un costo di euro 13 per persona al giorno, non prevedono nemmeno la possibilità di consumare i pasti seduti, data l’assenza di spazi dedicati al consumo.
le condizioni di alloggio, limitate di fatto a tende di diverse dimensioni, sono caratterizzate da sovraffollamento e condizioni ambientali estremamente disagiate. Le sette tende circondano l’intera base. Si va dalla tensostruttura più grande di 1.500 metri quadrati a quella più piccola da 340. Nella prima ci vivono in 400, la situazione più problematica è in una di quelle da 500 che accoglie 340 persone; si registra l’inadeguatezza dei servizi di mensa, che, ad un costo di euro 13 per persona al giorno, non prevedono nemmeno la possibilità di consumare i pasti seduti, data l’assenza di spazi dedicati al consumo.
Le denunce, tuttavia, sono state ignorate e il centro di Conetta ha continuato a funzionare a pieno regime. Quando è morta Sandrine Bakayoko il centro ospitava circa 1.300 persone, quasi 800 in più delle 530 che avrebbe potuto accogliere. Una delle ragioni del sovraffollamento di centri come questo è che i comuni del Veneto non danno disponibilità all’apertura di centri di accoglienza per richiedenti asilo: meno del 50 per cento dei comuni della provincia di Venezia ha aderito al sistema di accoglienza Sprar, quindi i migranti vengono spesso mandati dai prefetti in edifici militari riconvertiti in centri di accoglienza straordinari, lontani dalle città.
Queste strutture, però, spesso non sono adatte alla vita di centinaia di persone per lunghi periodi di tempo, e sono gestite da grandi cooperative che le amministrano in maniera poco trasparente, perché nel regime straordinario hanno meno obblighi di rendicontazione.
In questo caso la cooperativa che gestiva il centro di Conetta, la Ecofficina Edeco di Padova, è una realtà importante dell’assistenza ai profughi nel veneziano, è entrata nel settore nel 2011 e da allora gestisce tre strutture di accoglienza: Bagnoli a Padova, Cona a Venezia, Oderzo a Treviso, per un totale di quasi duemila ospiti. La cooperativa, però, è al centro di tre indagini delle procure di Rovigo e di Padova. Le accuse sono truffa, falso e maltrattamenti.
La procura di Padova sta indagando su un buco in bilancio da 30 milioni di euro nelle casse di Ecofficina per un presunto scambio di denaro tra la cooperativa e la società Padova Tre, che si occupa della raccolta dei rifiuti. Le altre due indagini riguardano: una denuncia per maltrattamenti e soprusi e la falsificazione di alcuni documenti per aggiudicarsi una gara di appalto.
Come ha mostrato l’inchiesta Mafia capitale, il sistema di accoglienza italiano gestito dalle prefetture rischia di alimentare fenomeni di malaccoglienza sulla pelle dei profughi, in quanto non esistono sistemi efficaci di monitoraggio dei centri. Come è stato sottolineato da molti specialisti, come Gianfranco Schiavone dell’Asgi, l’unica possibile alternativa è la distribuzione dei profughi sul territorio nazionale con il coinvolgimento dei comuni nell’assistenza e l’applicazione degli standard e dei controlli previsti dal Sistema nazionale per richiedenti asilo e rifugiati(Sprar). Al momento solo il 14 per cento dei profughi accolti in Italia è ospitato da un centro Sprar. Se tutti gli ottomila comuni italiani fossero coinvolti nell’assistenza dei profughi, basterebbe che ogni centro ospitasse venti persone dando vita a un sistema più sostenibile, più trasparente e in ultima analisi più umano.
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da http://www.corriere.it/cronache/17_gennaio_04/cona-ammucchiati-gelo-bestie-profughi-migranti-rivolta-843383aa-d200-11e6-a55b-632cc5cf8e9f.shtml?cmpid=SF020103COR

«Tutti i richiedenti asilo ospitati nella struttura di Cona devono essere espulsi subito. È inconcepibile che nessuno di loro sia stato fermato o denunciato dopo i gravissimi fatti di questa notte», ha tuonato Roberto Calderoli invocando il pugno durissimo contro quella «gentaglia» (copyright Matteo Salvini) «che stiamo mantenendo, ospitando e viziando?».
«L’infiltrato»
«Viziando»... Basta andare sulla pagina Facebook di Officiel Italie immigrationper vedere quanto viziati e coccolati siano gli uomini e le donne alloggiati in realtà come Cona. «Visitandole, oltre all’odore di marijuana si scopre che è possibile infilare otto letti a castello in uno stanzino, venti se la sala è un po’ più grande, quaranta se tra un letto e l’altro si lasciano pochi centimetri», scriveva pochi mesi fa sul Corriere del Veneto il nostro Andrea Priante, che era riuscito a infiltrarsi («lavorerò sei giorni su sette, dalle 9 del mattino alle 7 di sera. Il pagamento sarà in voucher: 200 euro alla settimana, che togliendo la pausa pranzo fanno 3 euro e 70 centesimi l’ora») nella cooperativa «Ecofficina» che gestisce il centro di Cona.
«Il» problema
E spiegava: «Mi diventa subito lampante quale sia il problema più grande: uomini di Paesi, culture e religioni diverse, stipati come polli dentro stanze disadorne, possono trasformare quel posto in una bomba a orologeria. E se finora la situazione non è precipitata, il merito è proprio di chi lavora lì dentro. Eppure le forze in campo sono sproporzionate: durante il giorno, per supportare 530 profughi ci sono tra gli otto e i dieci dipendenti della coop, quasi tutti giovani».
L’assistenza
Un medico un giorno la settimana, un infermiere ogni tanto. «A ricevere decine di profughi doloranti siamo in due e nessuno di noi è un dottore e neppure un farmacista. I casi più gravi vengono dirottati nell’ospedale cittadino ma per il resto ci si affida alla nostra (poca, almeno nel mio caso) esperienza. Distribuiamo Buscopan, Ibuprofene, Maalox...». Due medici, dopo il reportage, adesso ci sono. Ma la situazione resta esplosiva. «Come sistemazione per i primi mesi sarebbe ottima», sospira in una intervista su YouTube di aprile il presidente di Ecofficina Gaetano Battocchio, «Ma può andar bene per cento persone, forse duecento... Cinquecento sono troppi. Se c’è una rivolta a Cona s/ciopa tuto. Scoppia tutto». E l’altra sera erano quasi il triplo, rispetto ai troppi...
Si gioca con il fuoco
Se poi si ammassano tanti immigrati appesi al nulla (non un lavoro, non un riferimento, non un obiettivo raggiungibile, non una data cui aggrapparsi...) in una contrada di 190 abitanti a sua volta parte di un paese sparso che non arriva a tremila, si gioca davvero col fuoco. Basta una scintilla... Colpa del governo, accusano Luca Zaia e tanti sindaci (non solo leghisti) segnalando come «emergano tutte le debolezze di questo sistema di accoglienza» e sostenendo che «se la verifica dei requisiti avvenisse in Africa anche i cittadini sarebbero più tranquilli rispetto all’ospitalità». Colpa di chi per bottega politica cavalca le paure, rispondono il prefetto Mario Morcone e il ministero dell’Interno, ricordando di come insistano da mesi, osteggiati, sulla necessità di «sparpagliare i richiedenti asilo in piccoli gruppi in piccole realtà» e che comunque non ha senso invocare filtri in Libia con la Libia messa così...
Le polemiche sui soldi
Fatto sta che il conflitto, duro, finisce per essere incendiato dalle polemiche sui soldi. Un titolo per tutti: «Ai disabili 12 euro al giorno / Ai clandestini 47 + vitto e alloggio. Questo è il peggiore dei razzismi!». È falso perché agli immigranti vanno solo due euro e 50 cent e tutti gli altri vanno a quanti si sono gettati nel business dei profughi, come quel Salvatore Buzzi di Mafia Capitale che intercettato esulta perché «quest’anno, coi profughi e gli zingari, abbiamo chiuso con 40 milioni di fatturato»? Chi se ne importa... I voti non puzzano.
Decuplicato il fatturato
Prendete la stessa cooperativa di Cona: decuplicato in pochi anni il fatturato passando dai rifiuti ai profughi, inquisita dai giudici per il sospetto di avere «ritoccato» delle carte, accusata di pagare pochissimo gli operatori, espulsa da Confcooperative secondo la quale come onlus bada «un po’ poco al sociale è un po’ troppo al business», la «Ecofficina» ha oggi in pugno le ex basi militari di Bagnoli di Sopra (Padova), Cona (Venezia) e Oderzo (Treviso), dove sono alloggiati circa duemilacinquecento migranti. Un affarone, ma può fare fronte a un problema così grosso?
Dubbi legittimi
I dubbi sono legittimi. Tanto più che, come racconta nel libro «Profugopoli» lo stesso Mario Giordano, che certo «buonista» e sinistrorso non è, una montagna di soldi sta finendo a «intrallazzatori professionisti, truffatori patentati, trafficanti di immigrati, semplici furbetti di paese, opportunisti dell’ultima ora». Spinti non proprio da carità cristiana. Come Giulio Salvi dell’Hotel Bellevue di Cosio Valtellino: «I turisti erano sempre meno. Ospitare i profughi è il nostro nuovo modello economico. In questo modo ho già incassato 700-800.000 euro...». O Elio Nave, titolare dell’Hotel Quercia di Rovereto, leghista della prima ora: «Non riuscivo a coprire le spese. Avevo già chiuso il ristorante. Se non ci fossero i profughi avrei dovuto chiudere l’albergo». Per non dire dei titolari della società McMulticons che, specializzati in «pulizie civili, industriali, sanificazione ambienti, derattizzazione...», hanno vinto un appalto per ospitare un po’ di immigrati rinchiusi, dice la denuncia, in «un casolare diroccato in aperta campagna a cinque chilometri da Castelfiorentino e lontano da qualsiasi centro abitato» con le «pareti ammuffite, i muri sgretolati, le cucine abbandonate, gli angoli pieni di sporcizia»... Anche quello un hotel a cinque stelle?