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COP21: LIBERA VOLPE IN LIBERO POLLAIO

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da http://www.senzasoste.it/economia/cop-21-un-vertice-che-condanna-il-pianeta-al-disastro

Cop 21. Un vertice che condanna il pianeta al disastro

Quando tutti i criminali sono felici e d'accordo una sola cosa è chiara: hanno vinto un'altra battaglia. La conferenza mondiale sul clima, convocata a Parigi e chiusasi ieri sera, è stata il teatro di questa battaglia persa per fermare l'aumento delle temperature e quindi ridurre gli effetti catastrofici sul clima globale.
Il sorriso compiaciuto dei tanti capi di stato e di governo fa il paio con quello ultrafelice delle grandi compagnie multinazionali, ovvero le prima responsabili dell'attuale situazione e della sua evoluzione negativa. Solo un certo numero di scienziati e attivisti scuote negativamente la testa indicando le voragini aperte in un accordo che non promette molto di più delle sole rassicurazioni verbali.
Facciamo un esempio semplice, prendendo per buone le formulazioni del testo faticosamente assemblato. All'art. 2 si dice con grande enfasi che tutti gli Stati devono attenenersi alle indicazioni"compiendo gli sforzi possibili per raggiungere gli 1,5°C", ovvero meno del già utopistico 2% indicato alla vigilia del vertice. Sembra una prova certa della buona volontà di raggiungere risultati veri, tangibili, radicali.
Ma tutto crolla davanti alla semplice domanda: quali sistemi di controllo e di sanzione sono previsti? E su quali tempi?
Di sanzioni per chi sfora gli obiettivi di riduzione non se ne parla affatto. Quindi nessuno corre rischi se non applica i protocolli, quindi ognuno continuerà a fare come meglio crede, secondo convenienza economica. Le prime “verifiche” sono oltretutto rinviate al 2023, e successivamente a quella data ogni 5 anni, il che lascia quasi un decennio di mano libera, che verrà certamente utilizzato nel migliore dei modi dai grandi inquinatori. Senza peraltro prevedere, ripetiamo, alcuna sanzione per i fuori regola. Persino il prezzo da pagare per le emissioni nocive – secondo il pessimo ed inefficace principio della “monetizzazione” dell'inquinamento – verrà fissato in altra data, senza fretta.
Si parla di ridurre di almeno il 70% le emissioni entro la metà del secolo, ma non esiste una tempistica chiara che definisca il percorso. Per dirne una sola: non è indicata una data qualsiasi che faccia da spartiacque, che rappresenti insomma “il picco” oltre il quale si deve cominciare a scendere.
Non che si potessero nutrire soverchie illusioni su questo pomposo vertice di criminali che recitano una parte in commedia. Ridurre le emissioni in misura tale da frenare l'aumento delle temperature medie del pianeta significherebbe metter mano immediatamente al modo di produzione imperante, sostituendo al motore del profitto individuale di impresa (assolutamente incontrollabile e “anarchico”) una regolazione globale della produzione e della distribuzione della ricchezza, concentrando inizialmente tutti gli sforzi nella sostituzione degli idrocarburi come fonte principale di energia. Un'utopia letale per il capitalismo attuale, che ha dismesso anche le apparenze di “responsabilità sociale” per assumere come principio fondamentale l'aumento illimitato e illimitabile della “competitività”. La via della deregulation assoluta, insomma, di fronte a un problema globale che richiede – come minimo – regole e sanzioni rigidissime.
Ma non si può mettere in discussione il modo di produrre e distribuire la ricchezza, dunque qualsiasi accordo è fatto di dettagli insignificanti, di obiettivi per cui manca qualsiasi percorso di avvicinamento, di impegni facilmente dimenticabili. Non deve essere avvenuto per caso che le parole “petrolio” e “combustibili fossili” non siano neppure nominate nelle 31 pagine del testo finale. È come dire che si vuole curare un malato senza voler sapere quali siano le cause principali della malattia; quindi senza rimuoverle.
E di malattie se ne prevedono davvero tante, alcune di dimensioni catastrofiche (a seconda dell'aumento effettivo della temperatura). Alcuni paesi insulari del Pacifico rischiano la scomparsa, un'infinità di altri – collocati a cavalo dell'equatore – stanno galoppando verso la desertificazione irreversibile. Il meccanismo Loss&Damage sembra riconoscere un collegamento diretto tra emissioni prodotte dai paesi più industrializzati e danni subiti dai paesi più a rischio; ma definisce un piano di “rimborsi” assolutamente ridicolo rispetto alle esigenze. 100 miliardi da qui al 2020, ma attraverso “contribuzioni su base volontaria”, nonostante negli ultimi anni questo sistema abbia prodotto risultati pari ad appena il 10% degli obiettivi fissati. In pratica, le grandi multinazionali non sono vincolate in nessun modo a rifondere i danni da loro provocati. Nessun “grande leader mondiale” ha voluto correre il rischio di inimicarsele; il che mette una lapide definitiva sulle possibilità di azione della “politica” e della “diplomazia”.
Soprattutto, non si prevede alcuna corresponsabilizzazione dei paesi più sviluppati per l'inevitabile aumento delle migrazioni dalle aree che diventeranno presto inabitabili verso quelle più al riparo dai disastri. È come se si dicesse a questa parte di umanità – calcolata in 4,5 miliardi, quasi i due terzi del totale - “per voi non c'è futuro e a noi non ce ne frega niente”. Secondo i calcoli più prudenti, i “profughi ambientali” saranno almeno 250 milioni, nel corso dei prossimi 30 anni. Poi ci sono quelli che fuggono dalle guerre...
Cop21, insomma, seppellisce tranquillamente ogni possibilità di frenare la corsa del pianeta verso il baratro.
14 dicembre 2015
***
Rispetto a quello che avrebbe potuto essere, è un miracolo. Rispetto a quello che avrebbe dovuto essere, è un disastro.
Nel ristretto ambito in cui si sono svolti i colloqui, l’accordo approvato dalla conferenza Onu sul clima di Parigi è un grande successo. Il sollievo e l’autocompiacimento con cui è stato accolto il testo confermano il fallimento del vertice di Copenaghen di sei anni fa, in cui i negoziati si protrassero ben oltre i tempi previsti per poi finire nel nulla. L’accordo sul tetto fissato per il riscaldamento globale (”ben al di sotto dei 2 gradi centigradi”, si legge nel testo adottato), dopo che per tanti anni questa richiesta era stata respinta, può essere visto come una clamorosa vittoria. Da questo e altri punti di vista, il documento finale è più forte di quanto molti si aspettassero.
Ma appena si esce da questo ambito ristretto, le cose appaiono in modo diverso. Dubito che qualcuno dei negoziatori sia veramente convinto che grazie a questi colloqui il riscaldamento globale si manterrà al di sotto dei due gradi. Considerate le deboli promesse che hanno fatto i governi a Parigi, perfino due gradi sono un obiettivo ambizioso. Sebbene alcuni paesi abbiano negoziato in buona fede, probabilmente il vero risultato del vertice sarà comunque un cambiamento climatico pericoloso per tutti e letale per alcuni.
Con un aumento delle temperature di 2 gradi, ampie regioni diventeranno meno abitabili
I nostri governi si preoccupano tanto di non oberare di debiti le prossime generazioni, ma hanno appena deciso di lasciare loro un’eredità ancora più pericolosa: l’anidride carbonica prodotta dal protrarsi dell’uso dei combustibili fossili, e le conseguenze a lungo termine che questo avrà sul clima del pianeta.
Con un aumento delle temperature di 2 gradi, ampie regioni della superficie terrestre diventeranno meno abitabili, e probabilmente le loro popolazioni saranno colpite da fenomeni estremi: periodi di siccità più lunghi in alcune zone, e inondazioni devastanti in altre, che potrebbero influire notevolmente sull’approvvigionamento alimentare. In molte parti del mondo, isole e zone costiere rischieranno di essere inghiottite dalle onde.
La combinazione tra l’acidificazione degli oceani, l’estinzione dei coralli e lo scioglimento dei ghiacci dell’Artide potrebbe comportare la scomparsa di intere catene alimentari marine. Sulla terra, le foreste pluviali potrebbero recedere, i fiumi prosciugarsi e le zone desertiche espandersi. Il marchio della nostra era potrebbero essere le estinzioni di massa.
Il vertice di Parigi è il migliore che ci sia mai stato: questa è un’accusa terribile
Questi saranno i risultati di quello che i delegati di Parigi hanno definito un successo. E invece, è ragionevolmente prevedibile che si dimostri un fallimento. Mentre nelle prime stesure dell’accordo si specificavano date e percentuali, il testo definitivo mira soltanto a “raggiungere al più presto possibile il picco globale delle emissione di gas serra”. Il che può significare tutto e niente.
A dire la verità, la colpa di questo fallimento non andrebbe attribuita a Parigi, ma all’intero processo. Il tetto di due gradi che oggi è un obiettivo improbabile da raggiungere, all’epoca della prima conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico che si svolse a Berlino nel 1995 era perfettamente raggiungibile. Vent’anni di rinvii, dovuti alle manovre – palesi, segrete e spesso decisamente sinistre – della lobby dei combustibili fossili, alle quali si è aggiunta la riluttanza dei governi a spiegare al loro elettorato che le decisioni a breve termine hanno un costo a lungo termine, hanno fatto in modo che la finestra delle opportunità sia ormai chiusa per tre quarti.
Il vertice di Parigi è il migliore che ci sia mai stato. E questa è un’accusa terribile.
Per quanto i suoi risultati costituiscano un passo avanti importante rispetto a tutto quello che è successo prima, l’accordo che ne è uscito è ridicolo. Mentre in genere i negoziati sui rischi globali cercano di affrontare tutti gli aspetti del problema, quelli sul clima si sono concentrati esclusivamente sul consumo di combustibili fossili, senza tener conto della loro produzione.
I delegati si congratulano per un accordo migliore di quanto si aspettassero, ma dovrebbero anche scusarsi con chi hanno tradito
Mentre a Parigi, i delegati si sono solennemente impegnati a ridurre la domanda, a casa loro i governi continuano ad aumentare la produzione. Quello britannico si è perfino imposto l’obbligo, in base alla legge sulle infrastrutture del 2015, di “sfruttare al massimo il petrolio e il gas del Regno Unito”. L’estrazione dei combustibili fossili è un fatto concreto. Ma l’accordo di Parigi è pieno di fatti molto meno concreti, di promesse che possono non essere mantenute o fatte slittare. Finché i governi non si impegneranno a lasciare i combustibili fossili dove sono, continueranno a vanificare l’accordo che hanno appena stretto.
Con Barack Obama alla Casa Bianca e un governo dirigista a presiedere i negoziati di Parigi, questo era il massimo che si potesse ottenere. Nessuno dei probabili successori dell’attuale presidente degli Stati Uniti mostrerà mai lo stesso impegno. In paesi come il Regno Unito, le grandi promesse fatte all’estero saranno vanificate dai meschini tagli alle spese operati all’interno. Qualsiasi cosa succederà adesso non farà certo piacere alle prossime generazioni.
I delegati si congratulano con se stessi per aver raggiunto un accordo migliore di quanto si aspettassero, ma dovrebbero anche scusarsi con tutti quelli che hanno tradito.
(Traduzione di Bruna Tortorella)
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano britannico The Guardian.

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