da http://www.senzasoste.it/internazionale/cronache-del-mondo-esterno-scioperi-grecia-sinistre-vicine-potere-in-portogallo-referendum-ue-in-gran-bretagna

Renzi in fallo laterale. Certo, Renzi ha ragione su un punto: in Italia ci si è specializzati a vedere solo nero, si intravede poca capacità progettuale . Ma questo, che è un fatto che proviene da un lungo processo di crisi della politica, non deve impedire di vedere che l’esecutivo se c’è qualcosa che sta facendo è rinviare il più possibile una data. Quella del giorno in cui l’insostenibilità del modello di sviluppo dell’eurozona in Italia si farà qualcosa di irreversibile. Nè deve impedire, tanto meno, di vedere che questo è un governo che, al di là della propaganda ossessiva dell’Italia che riparte, esiste nell’intreccio surreale tra taglio di spesa pubblica e galleggiamento politico. Quanto agli indirizzi strategici, basta vedere come lo scorso anno Renzi magnificava gli investimenti cinesi in Italia come occasione di sviluppo nazionale e che tipo di botto ha fatto la Cina pochi mesi dopo. Oppure, se parliamo di diplomazia, come la strategia della conciliazione delle parti in guerra in Libia sia fallita. E così, per ora, la Libia appare e scompare velocemente dai tg, come accade nei regimi, poi un giorno qualcosa il governo si inventerà.
Il resto dell'Europa. Ma mentre l’Italia vive il mondo tutto suo, con personaggi pittoreschi tutti propri, ci sono tre vicende che, qualsiasi cosa accada, possono davvero incidere sul continente nei prossimi mesi: Grecia, Portogallo e Gran Bretagna. Ci sarebbe anche la questione spagnola, sia legata alle elezioni politiche che alla vicenda catalana, ma bisogna aspettare i risultati del 20 dicembre per capire bene i passaggi politici che questa apre. Anche perchè l’ascesa del populismo europeista di Ciudadanos, che nei sondaggi ha sorpassato di molto Podemos, è tutta da decifrare nei suoi effetti politici. Nel frattempo ci sono però Grecia, Portogallo e Gran Bretagna che mostrano situazioni che, alla fine, possono davvero incidere sulla situzione del nostro paese.
Grecia. Prima di tutto c’è la Grecia. Nei giorni scorsi l’Unione Europea si è rifiutata di dare il benestare per l’arrivo, ad Atene, di una tranche di crediti pari a due miliardi di euro. Motivo: le famose riforme, sia sul piano delle leggi approvate che su quello delle privatizzazioni, non seguono il ritmo dell’agenda fissata a luglio. Oltretutto non è ancora chiaro se il Fondo Monetario Internazionale parteciperà al cosiddetto salvataggio della Grecia. Visto che chiede una moratoria del debito non gradita in Germania ed in Francia (o, meglio, alle banche di quei due paesi). Allo stesso tempo sono ripresi gli scioperi in Grecia contro l’austerità. Dipendenti pubblici, sciopero 24 ore, treni, porti e trasporti. Il governo Tsipras, vista la situazione interna, potrebbe essere costretto, di nuovo, ad esportare la crisi greca in Europa. Facendo saltare un pò di borse come sta accadendo già oggi in Portogallo.
Portogallo. Infatti, dettaglio importante omesso dai media italiani, la situazione portoghese sta virando decisamente a sinistra. Il paese è stato brutalmente sottoposto a politiche di austerità dall’inizio della crisi, ci sono stati periodi di scioperi e manifestazioni ma sembrava che il centrodestra dovesse rimanere in piedi. Così come le sue banche, gonfie di titoli tossici contratti con istituti francesi (come il Banco do Espirito Santo salvato recentemente con i soldi dei portoghesi). E invece il governo di centrodestra è caduto ed è pronta, in parlamento, una coalizione di sinistra tutta antiausterità. Al di là di errori e ambiguità di Syriza, senza farsi illusioni, è auspicabile che questa coalizione ce la faccia. Facendo cortocircuito antiausterità con il governo greco. Come già la Bundesbank, che l’ha già fatto capire ai suoi quotidiani di riferimento, teme. Da sottolineare che la situazione portoghese è, da tempo, sotto osservazione dei ricercatori di Citigroup, uno dei migliori pensatoi per istituti bancari. I riflessi in borsa di una crisi portoghese possono essere infatti pari e per certi versi superiori. Banco do Espirito Santo e Credit Portugués sono istituti che hanno forti legami con le banche di Francia, Spagna e, di rimbalzo, con l’immancabile Germania. Senza contare che l’Italia, a partire dal governo Monti, ha contribuito al salvataggio delle banche (non dei cittadini) portoghesi finanziando il fondo Esfs (che, a sua volta, è occasione di profitto privato).
Gran Bretagna. Ma se due paesi mediterranei, senza contare la Spagna, possono mettere in difficoltà l’attuale assetto dell’eurozona c’è un paese, che di questa zona non è membro, che può davvero mettere nei problemi l’intera Ue. Si tratta della Gran Bretagna, il cui governo conservatore è uscito indenne sia dal referendum scozzese che dalle elezioni. Il primo ministro Cameron ha infatti annunciato che, in caso di mancato accoglimento delle richieste britanniche, tra circa un anno e mezzo darà vita al referendum anti-Ue. Chiedendo di votare favorevolmente all’uscita delle Gran Bretagna dall’Unione Europea. Si può dire quello che si vuole ma qui il governo Cameron ha le idee chiare: la futura Ue deve essere quanto più possibile un mercato unico e quanto meno possibile un’unione politica. Le condizioni migliori perchè la borsa più forte d’Europa, quella di Londra appunto, possa prestare capitali a questo mercato unico e ricevere, in cambio, il deposito dei suoi profitti. Cameron, qualsiasi cosa farà, avrà questo tema come stella polare del suo comportamento. Il resto è folklore: mezzo Pil britannico dipende dai servizi finanziari quindi il loro primato in Europa va affermato e, se possibile, potenziato. Che tutto questo entri in linea di conflitto con la retorica degli stati uniti d’Europa è palese. Ma è anche il mondo reale, non quello di cui si parla nella politica italiana.
I conflitti futuri. Tra Grecia, Portogallo e Gran Bretagna ci sono quindi movimenti tellurici che possono, alla lunga, mettere nel mezzo la stessa sostanza di quella che viene chiamata Europa. Il primo è antiliberista e antiausterità, il secondo viene proprio dalla patria europea del liberismo e dell’austerità. Due movimenti in direzione contraria che sembrano portare caratteristiche centrifughe nel continente e, a maggior ragione, nel nostro paese. Naturalmente non c’è solo questo che può rimettere in discussione lo stesso assetto economico-politico del continente. C’è il possibile disallineamento dei tassi Usa-eurozona che può scatenare un conflitto valutario, c’è la stessa crisi dei profughi definita, dalle autorità lussemburghesi vicine a Juncker, come “potenzialmente devastante per l’assetto stesso dell’Europa”.
Ma in Italia c’è solo tale Matteo da Rignano che, nella propaganda a reti unificate, riparte, fa crescere e diffonde il bello e l’ottimismo dell’Italia. Cosa accadrà dopo questa fase di scenografia dell’ottimismo, che è una delle pagine grigie della storia della democrazia come della comunicazione pubblica di questo paese, non è dato saperlo. Per ora la maggior parte degli attori sul palcoscenico politico sembra in grossa difficoltà a vedere oltre il proprio naso. In tempi in cui tutto presuppone una visione migliore di quella dei droni.