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LA VITTORIA DI ERDOGAN

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All'indomani dell'attentato di Ankara, in  questo blog riflettevamo su come a noi sembrava difficile che ci fosse dietro l'apparato che fa capo a Erdogan (e pensavamo alla Gladio turca e agli USA) proprio per il fatto che chiunque, o quasi, avrebbe visto nell'AKP il primo mandante e che questo attentato avrebbe rafforzato e compattato l'opposizione democratica nell'HDP.
I fatti hanno smentito sia noi che i sondaggi, che lo stesso AKP, dove non  ci si aspettava una vittoria così netta.
La si può definire una 'vittoria della paura' come dicono le opposizioni e titola l'articolo de Il Manifesto riprodotto poco sotto? Certamente la strategia della paura ha contribuito, ma secondo noi davanti ad un risultato di proporzioni simili ci sono motivi più profondi e strutturali.
La Turchia ha vissuto decenni di kemalismo: una società ordinata in senso fortemente autoritario affiancata ad una laicità forse esasperata rispetto al sentire comune, una società che non esitò a produrre sanguinosi colpi di Stato per impedire la svolta a sinistra.
Del kemalismo è rimasta però forse nelle masse la concezione di uno Stato autoritario e forte, in totale contraddizione con la narrazione confederalista democratica, fondata su autonomie locali e decentramento del potere. Non ci interessa valutare politicamente in questa sede la svolta di Ocalan rispetto a punti poco approfonditi, che però forse hanno pesato davanti ad una situazione così polarizzata (la posizione internazionale rispetto all'imperialismo atlantico e al sionismo e la concezione generale della proprietà dei mezzi di produzione sono ad esempio punti che secondo noi questo sistema di pensiero non ha ancora strutturato a fondo, non trovando una posizione facilmente definibile): fatto sta che il modello di uno Stato centrale autoritario e forte in Turchia risulta essere ancora oggi vincente e questo, purtroppo, ha portato molti voti ad Erdogan.


da http://ilmanifesto.info/turchia-la-vittoria-della-paura/

Turchia. Il partito del Sultano ottiene il 49,9% delle preferenze, raggiungendo la maggioranza assoluta. È il frutto della violenza contro l’opposizione e degli attentati di Suruç e Ankara




Grande vit­to­ria per il Par­tito della giu­sti­zia e dello svi­luppo (Akp) al voto anti­ci­pato del primo novem­bre. Ma soprat­tutto grande rivin­cita per il pre­si­dente Recep Tayyip Erdo­gan, ancor più vicino all’obiettivo di tra­sfor­mare il sistema di governo turco da par­la­men­tare a «pre­si­den­ziale alla turca», con la con­se­guente con­cen­tra­zione del potere nelle mani di un solo uomo, le sue.
Si tratta tut­ta­via di un risul­tato ina­spet­tato per lo stesso par­tito isla­mi­sta con­ser­va­tore che quasi tutti i son­daggi elet­to­rali indi­ca­vano al di sotto della per­cen­tuale neces­sa­ria per for­mare un governo mono­co­lore. E invece l’Akp ce l’ha fatta, otte­nendo il 49,9% delle pre­fe­renze e riu­scendo a por­tare in par­la­mento ben 317 depu­tati. Il quo­ti­diano filo-governativo Sabah l’ha defi­nita «una rivo­lu­zione dei seggi», men­tre il gior­nale con­ser­va­tivo mode­rato Yeni Safak l’ha chia­mata una «magni­fica vit­to­ria». Per l’opposizione, sba­ra­gliata, si tratta invece della «vit­to­ria della paura». Una paura dovuta agli ultimi cin­que mesi, dove nel Paese la ten­sione, le vio­lenze e la pola­riz­za­zione hanno fatto da sovrani.
La neces­sità di ripor­tare «sta­bi­lità» e «sicu­rezza» sem­brano dun­que aver pesato più di tutto nella scelta dell’elettorato, che nelle pre­ce­denti con­sul­ta­zioni non si tro­vava a dover fare i conti con gli scon­tri del Pkk (Par­tito dei lavo­ra­tori del Kur­di­stan) e l’esercito turco, ripresi da luglio dopo oltre due anni di inter­ru­zione. Allo stesso modo, non si erano ancora veri­fi­cati i due atten­tati kami­kaze più san­gui­nosi della sto­ria turca (con oltre cento morti) a Suruç e Ankara, rispet­ti­va­mente nel luglio e nell’ottobre scorsi. Inol­tre la pola­riz­za­zione della società non si era tra­dotta in mani­fe­sta­zioni di strada, con attac­chi fisici per­pe­trati con­tro i cit­ta­dini curdi e mem­bri della stampa, o per lo meno, non a que­sti livelli.
Cin­que mesi di estrema ten­sione che hanno por­tato all’Akp 5 milioni di voti in più, por­tan­dolo al governo da solo per la quarta volta. Ma resta un dato di fatto che l’opposizione, con tutte le limi­ta­zioni che ha dovuto affron­tare riguardo alla man­canza di fondi e alle cam­pa­gne elet­to­rali, non è riu­scita a uti­liz­zare a pro­prio favore il van­tag­gio otte­nuto alle ele­zioni del 7 giu­gno scorso, dove aveva com­po­sto un blocco del 60%. Il Par­tito di azione nazio­na­li­sta (Mhp)sembra il primo ad aver fatto le spese dell’atteggiamento disfat­ti­sta degli ultimi mesi. I lupi grigi, che si sono oppo­sti a ogni for­mula di accordo con il Par­tito repub­bli­cano del popolo (Chp, seconda for­ma­zione poli­tica del Paese) «se sup­por­tata dal Par­tito filo-curdo demo­cra­tico dei popoli (Hdp)» hanno perso quota in 58 pro­vince su 81. Il risul­tato è un calo di 4 punti per­cen­tuali (con­fluiti a favo­rire l’Akp) rispetto al 16% otte­nuto a giu­gno e soli e il dimez­za­mento del numero di depu­tati all’Assemblea (pas­sati da 80 a 41).
Ma ad accre­scere i voti dell’Akp, oltre ai nazio­na­li­sti e in misura minore gli elet­tori dei pic­coli par­titi ultra­na­zio­na­li­sti e isla­mi­sti, sono stati anche i kurdi. Kurdi con­ser­va­tori e delle metro­poli che dopo aver sup­por­tato l’Hdp alle pre­ce­denti ele­zioni, sono tor­nati a votare l’Akp. Nelle pro­vince sudo­rien­tali a mag­gio­ranza kurda, che nume­rose sono pur rima­ste roc­ca­forti della for­ma­zione filo-kurda, si è regi­strato un calo del 3% delle pre­fe­renze Hdp. Un risul­tato che, secondo le prime ana­lisi, sarebbe una rea­zione al Pkk e al fatto che abbia ripreso i com­bat­ti­menti, non­ché una dimo­stra­zione di come l’Hdp sia rima­sta in mezzo al fuoco incro­ciato del Pkk e dello Stato.
Una minore per­dita di voti dell’Hdp si è regi­strata anche nelle grandi città occi­den­tali — soprat­tutto a Istan­bul, che aveva influito gran­de­mente sul risul­tato del 13% delle ele­zioni pas­sate. Il risul­tato finale, magro, del 10,7%, è arri­vato dopo aver rischiato di restare sotto lo sbar­ra­mento elet­to­rale — un obiet­tivo rin­corso aper­ta­mente dai rap­pre­sen­tanti dell’Akp, e tut­ta­via non riu­scito. In tal modo l’Hdp ha otte­nuto 59 depu­tati in par­la­mento, diven­tando comun­que la terza rap­pre­sen­tanza poli­tica del Paese.
L’unico par­tito immo­bile, rispetto al risul­tato di giu­gno, è il Chp che ha otte­nuto il 25,4% dei voti, por­tando in par­la­mento 134 depu­tati (due in più rispetto alla tor­nata elet­to­rale pre­ce­dente). E qual­che roc­ca­forte persa comun­que a favore dell’Akp, che ha gua­da­gnato quota in ogni sin­gola provincia.
Ora le domande si con­cen­trano sui pos­si­bili sce­nari det­tati dal nuovo governo Akp. I quo­ti­diani filo-governativi ten­dono a leg­gere l’esito delle con­sul­ta­zioni come un’approvazione dei cit­ta­dini del pro­getto pre­si­den­ziale di Erdo­gan. Ma per por­tare — per lo meno — ad un refe­ren­dum popo­lare un emen­da­mento costi­tu­zio­nale in tal senso, sareb­bero neces­sari almeno 330 seggi.
Secondo alcuni ana­li­sti que­sto «osta­colo» potrebbe essere supe­rato attra­verso il «tra­sfe­ri­mento» o l’«appoggio esterno» di alcuni par­la­men­tari delle for­ma­zioni poli­ti­che oppo­ste. Altri, invece, pen­sano che que­sto voto sarà un nuovo «avvallo popo­lare» per il pre­si­dente Erdo­gan, che nelle set­ti­mane scorse ha dichia­rato il pas­sag­gio «al sistema pre­si­den­ziale di fatto» avve­nuto nel Paese, nel momento in cui è stato eletto pre­si­dente a suf­fra­gio uni­ver­sale per la prima volta.
Una delle que­stioni più impor­tanti per il Paese resta ancora la riso­lu­zione della que­stione kurda. Una que­stione che ha pro­dotto oltre 30mila morti in 40 anni di scon­tri e che sem­brava arri­vare una riso­lu­zione nei tre anni di col­lo­qui por­tati avanti dal governo turco e dal movi­mento poli­tico kurdo — sotto le indi­ca­zioni del lea­der Pkk Abdul­lah Öcalan.
Ora, resta da vedere se la «sta­bi­lità» pro­spet­tata per il futuro della Tur­chia da Erdo­gan e dal pre­mier Davu­to­glu include anche la ripresa dei nego­ziati sospesi. Nono­stante la «demo­niz­za­zione» dell’Hdp – che all’indomani delle ele­zioni ha riba­dito il suo impe­gno per la pace — da parte del governo non sem­bri desti­nato a ces­sare in ter­mini brevi, la pre­senza par­la­men­tare dell’Hdp risulta il suo impe­gno per la pace cru­ciale per espri­mere la plu­ra­lità del Paese.

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